I corrispettivi in denaro o in natura, a titolo di sponsorizzazione, erogati da titolari di reddito di impresa a favore di associazioni e società sportive dilettantistiche, di importo complessivamente non superiore a euro 200mila annui, rappresentano, per coloro che li erogano, spese di pubblicità (per presunzione assoluta) fiscalmente deducibili (ex articolo 108, comma 2, TUIR) a stabilirlo è l'articolo 90, comma 8 della Legge 289/2002.
Condizione necessaria per la deducibilità è che le erogazioni devono essere finalizzate alla promozione della propria immagine o prodotti, tramite una specifica ed effettivamente riscontrabile attività posta in essere da parte dei beneficiari, società o associazioni sportive dilettantisctiche iscritte al registro CONI.
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Sponsorizzazioni come spese pubblicità e nuova forfettizzazione Iva: due segnali promettenti
Le recenti sentenze emanate dagli organi di giustizia tributaria ( cfr CTP Pisa 94/01/15 e 423/1/14, CTP Mantova 114/01/13), seppur di primo grado, risultano dirimenti anche alla luce dei chiarimenti offerti dai funzionari dell'Agenzia dell'Entrate i quali, nel 2003 prima e nel 2010 poi, avevano gia' affrontato l'argomento esprimendosi in favore di chi investiva nello sport secondo le regole speciali dedicate all'associazionismo.
Sul tema sponsorizzazione la novita' assoluta, e a dire il vero inaspettata, risulta dalla formulazione dell''art. 29, D.Lgs. n. 175/2014 il quale ha modificato le regole sulla detrazione dell’IVA relativa alle prestazioni di sponsorizzazione, previsto nell’ambito del regime forfetario di cui all’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 633/1972. Come noto, infatti, il decreto Semplificazioni ha eliminato la previsione di una specifica percentuale (pari al 10%) per la detrazione forfetizzata dell’Iva relativa alle prestazioni di sponsorizzazione. Per effetto della modifica, così, le prestazioni di sponsorizzazione sono state ricondotte nella regola generale della forfetizzazione della detrazione nella misura del 50%.
Si è dunque assistito, nel corso degli utlimi anni, ad un lento processo di crescita del diritto tributario in ambito sportivo. Una crescita nel senso di “adeguamento” dinamico e non statico, ma ancora troppo “miope” per poter raggiungere gli obbiettivi che, evidentemente, si prefiggeva il legislatore sportivo pre e dopo l'art 90, perno di tutto il sistema.
Mi riferisco, in particolare, al fatto che per chi eroga importi a soggetti regolamente iscritti al Registro CONI è sempre legittimato a qualificarli quali spese di pubblicità fiscalmente deducibili (ex articolo 108, comma 2, TUIR) con il limite che, oltre la predetta sogli dei 200.000,00= euro, non potrà più godere della presunzione assoluta come confermato dall'Agenzia delle Entrate (Risoluzione 57/E 23 Giugno 2010) la quale ha chiarito che (…) “l’eccedenza in discorso sarà deducibile dal reddito d’impresa del soggetto erogante ai sensi dell’art. 108, comma 2, primo periodo, del TUIR a condizione, ovviamente, che la natura del rapporto contrattuale presenti tutti i requisiti formali e sostanziali riscontrabili in un rapporto di sponsorizzazione o di altra prestazione pubblicitaria.” (…).
Problematiche per il soggetto ricevente le sponsorizzazioni
Chiarita nelle sue sfumature la posizione del soggetto erogante, quella del soggetto ricevente può porre alcune problematiche laddove, se in regime di favore di cui alla 389/91, bisognerà fare particolare attenzione ad un altro e più delicato aspetto. Ovvero al limite di Euro 250.000,00= di cui al plafond previsto per rimanere nel regime di vantaggio.
Bisogna però prendere atto che di simili cifre, oggi più mai, se ne può parlare solo sulla carta poiché trattasi di movimentazioni ben lontane dal quotidiano associativo “di base”.
Sarebbe pertanto auspicabile, tornando alla realtà, ricevere adeguate risposte dal legislatore prima e dai verificatori poi se, effettivamente, l'attività di sponsorizzazione da importi “in tempo di crisi” possa e debba ancora definirsi dogmaticamente “commerciale”.
In fin dei conti la sponsorizzazione altro non è se non un negozio giuridico atipico introdotto dalla prassi commerciale e, come tale, non inquadrabile a priori in nessuna delle fattispecie espressamente regolate dal Codice Civile, né tantomeno in altre fonti giuridiche dell’ordinamento vigente. Non potendo pertanto escludere che, come avviene in ambito pubblicistico, non si stia già assistendo all'evoluzione anche di questo istituto ed alla genesi di altri schemi contrattuali non tipizzati.
In pratica una costruzione giuridica entrata nel campo accidentato dello sport dilettantistico, da sempre considerata primaria fonte di “guadagno” diventando così, nostro malgrado, da un lato leva per operazioni che poco hanno a che fare con la trasparenza e la liceità, dall'altro grimaldello per far decadere benefici e vantaggi.
Ma dinnanzi ad un vero e proprio “matrimonio” fra le parti, quali i reali vantaggi che si ottengono dall'operazione ? Quale e quanta la materia imponibile veramente sottratta al fisco a titolo premiale ?
Va ricordato che il vantaggio di cui all'art 108 comma 2 Tuir viene riconosciuto solo e se l'erogazione viene finalizzata alla promozione della propria immagine o prodotti, tramite una specifica ed effettivamente riscontrabile attività posta in essere da parte dei beneficiari. E così l'evoluzione dell'istituto è arrivato sino alla nota Sentenza n. 25100/2014 della Cassazione con la quale si è concluso che il requisito dell’inerenza, che dà il via libera alla deducibilità delle spese di sponsorizzazione, non è dato soltanto dalla congruità dei costi rispetto ai ricavi, ma anche dall’effettiva utilità che la pubblicità svolta dall’impresa a favore del terzo produce per la propria attività.
Quanto possa essere riconducibile ad attività commerciale (secondo quanto stabilito dall'art 51 Tuir) quello di mero “risparmio di spesa” per la ASD che acquista l'attrezzatura di gioco con i proventi della sponsorizzazione però non è dato saperlo. Come non è chiaro se trattasi di vero e proprio “introito aggiuntivo” o “guadagno” quello dello sponsee che si limita a “vestire” il logo di chi eroga il contributo, pur rimanendo un soggetto, ricordiamolo bene, privo dello scopo di lucro e che, peraltro, convive con il divieto assoluto di distribuzione, anche indiretta di utili.
E se non si chiamasse più sponsorizzazione? Se si attuassero attività di partership azienda / sportive differenti ? Se, ancora, la sponsorizzazione, in ultima analisi, non risultasse un vantaggio se non per operazioni superiori ad una determinata soglia ?
Una provocazione, è vero, ma sulla quale la moderna giurisprudenza e dottrina di settore dovrà confrontarsi alla luce anche dalle recenti esperienze che hanno evidenziato, a fronte di una sempre maggiore contrazione dell'offerta pubblica, uno straripare del no-profit a conferma che le attività offerte dal terzo settore, anche in ambito sportivo, risultano sempre più indispensabili per colmare il vuoto lasciato dalle istituzioni mai come oggi deficitiarie nell'erogazione di servizi primari obbligatori.
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