Una recente sentenza della Corte di Cassazione, ed esattamente, la n. 5014 dello scorso 12 marzo ha affrontato il tema della decorrenza del termine per presentare una richiesta di rimborso IVA.
In particolare la pronuncia in questione ha stabilito che a fronte del mancato esercizio del diritto alla detrazione, la richiesta di rimborso IVA deve essere presentata entro il termine di due anni dal versamento (48 mesi per la precisione) così come previsto dall’art. 21, D.Lgs. n. 546/92.
Pertanto il dies a quo può non decorre dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE che cha dichiarato il contrasto tra la disciplina nazionale e quella europea, ma dalla data del versamento. La decisione appare interessante in quanto il collegio giudicante ha affermato che la sentenza della Corte di Giustizia non ha alcuna incidenza sul giudizio.
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Il caso di specie della richiesta del rimborso Iva per la mancata detrazione di spese
Nel caso di specie, una società in accomandita semplice nel 2006 ha richiesto il rimborso di un credito IVA risalente al periodo d’imposta 2002 per la mancata detrazione di spese di acquisto e manutenzione di autoveicoli aziendali. L’art. 19-bis, comma 1, D.P.R. n. 633/72, impediva infatti l’esercizio della detrazione, in deroga a quanto stabilito dall’art. 19, D.P.R. n. 633/72.
Tuttavia con Sentenza del 14 settembre 2006 la Corte di Giustizia UE (causa C-228/05) aveva stabilito che l’art. 17, n. 7, Direttiva n. 77/388/CEE, non autorizza uno stato membro ad escludere alcuni beni dal diritto alla detrazione senza aver consultato il comitato consultivo dell’IVA e che, inoltre, la stessa disposizione non permette di adottare “provvedimenti che escludano determinati beni dal diritto alla detrazione nel caso in cui siano privi di indicazioni quanto alla loro limitazione temporale e/o facciano parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico”.
In base al dispositivo di questa sentenza della Corte di Giustizia UE, la società contribuente ha presentato ricorso alla Commissione tributaria provinciale (dove è stata dichiarata soccombente) e ha resistito davanti alla Commissione tributaria Regionale (dove gli è stata data ragione). Soccombente in sede d’appello, l’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione lamentando il fatto che la sentenza impugnata avrebbe disapplicato il termine biennale per presentare l’istanza di rimborso: facendo decorrere il termine dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia UE, il termine sarebbe stato ampliato fino a quattro anni.
Sul punto la Suprema Corte ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate in base al fatto che la domanda di rimborso oggetto del giudizio non rientra tra quelle disciplinate dall’art. 30, D.P.R. n. 633/72, allora vigente, ma è disciplinato dall’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, ai sensi del quale la richiesta di rimborso, in mancanza di disposizioni speciali, deve essere presentata entro due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione.
Ai fini della determinazione del termine non rilevano, pertanto, né la pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia UE, né la pubblicazione del provvedimento nazionale (D.Lgs. n. 258/06) che ha dato attuazione a detta sentenza. Si può concludere affermando che in questo caso appare evidente come i giudici della Corte di Cassazione abbiano valutato prevalente il principio della certezza del diritto.