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Tale ultima disposizione risolve un'annosa questione relativa alla natura delle obbligazioni dei condomini rispetto ai terzi che aveva dei risvolti pratici di una certa importanza. In dottrina, infatti, si oscillava tra due tesi contrapposte.
La prima, per la quale la ripartizione delle spese pro quota avrebbe avuto valenza esclusivamente interna restando obbligati in solido tutti i condomini rispetto ai terzi.
La seconda, invece, avrebbe voluto che si considerasse operante la ripartizione interna anche nei confronti dei terzi.
Le conseguenze pratiche, come evidente, erano di un certo rilievo in quanto, aderendo alla prima tesi, il creditore avrebbe potuto agire indistintamente contro qualsiasi condomino, anche contro quello magari in regola con i pagamenti ma più facilmente aggredibile rispetto al condomino moroso. Secondo la tesi opposta, invece, il creditore avrebbe potuto agire soltanto nei confronti dei condomini morosi, con tutte le difficoltà che ciò comportava in particolare per quanto riguarda il reperimento dei nominativi degli stessi.
Da parte sua, la Corte di Cassazione, dopo essersi basata per lungo tempo sul criterio della solidarietà del debito, con la sentenza 9148/2008 affermava, invece, in forza del principio di parziarietà, che ogni condomino poteva essere chiamato a rispondere del debito condominiale solo per la parte di propria spettanza.
La nuova formulazione dell'articolo 63, invece, si pone in un certo senso a metà tra le due posizioni, riconoscendo un limitato valore esterno alla ripartizione delle spese e imponendo ai creditori di escutere prima i condomini morosi e solo all'esito negativo di questa prima azione, di potere procedere nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti, ma vincolati comunque dal principio di solidarietà.
L'obbligatorietà di procedere al recupero dei contributi condominiali non versati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito è compreso introduce peraltro una sorta di automatismo, ponendo l'amministratore entro limiti temporali ben definiti e limitandone la discrezionalità nella gestione di questi rapporti.
Se però i tempi di avvio della procedura divengono così celeri e ben scanditi, lo stesso non si può dire delle fasi successive della procedura giudiziale di recupero, che spesso fa registrare tempi lunghi già solo per l'emissione del decreto ingiuntivo, così come poi per il proseguo, rendendo vani, dunque, i tentativi di recuperare tempestivamente le quote condominiali non versate.
Anche per questo motivo, oltre che per ridurre i costi che un'azione giudiziale comporta, è sempre auspicabile, laddove si trovi la disponibilità del condomino moroso, tentare di risolvere la pendenza in via stragiudiziale, facendo ricorso alla predisposizione di piani di rientro o ad altre modalità di ammortamento.
L'amministratore del condominio, inoltre, dopo la riforma del 2012, può oggi ricorrere, ove tecnicamente possibile, alla sospensione dalla fruizione del servizio comune nei confronti del condomino moroso da almeno un semestre, così come previsto sempre dall'art. 63, al terzo comma, indipendentemente dalla presenza all'interno del regolamento condominiale di un'espressa autorizzazione in tal senso, che invece era prevista come necessaria dal testo dell'articolo ante riforma.
Anche questo è, dunque, oggi uno strumento a disposizione dell'amministratore e utilizzabile più largamente e con maggiore efficacia come deterrente e per tentare di evitare le lungaggini giudiziarie.
Il tema è stato peraltro oggetto di approfondimento da parte del Garante, nel Vademecum su "Il condominio e la privacy", pubblicato nell'ottobre del 2013 e dove molto chiaramente si spiega che, oltre alla possibilità di comunicare i dati ai terzi creditori che ne fanno richiesta, le "eventuali inadempienze possono essere comunicate dall'amministratore agli altri condomini al momento del rendiconto annuale oppure a seguito della richiesta effettuata da un condomino nell'esercizio del potere di vigilanza e controllo". Parimenti sarà, inoltre, possibile farne oggetto di discussione nel corso dell'assemblea.
La violazione di queste indicazioni evidentemente potrà avere anche dei risvolti sotto il profilo penale. Se, infatti, il Garante per la privacy e il legislatore hanno ritenuto legittimo potere trasmettere i dati dei condomini morosi ai creditori e discutere le singole posizioni all'interno dell'assemblea, questo non autorizza però l'amministratore o gli altri condomini a dare più larga diffusione a questi dati, rivolgendosi a terzi non interessati alla questione o trattandoli al di fuori del contesto idoneo, che è appunto l'assemblea condominiale.
In tal senso si è orientata la Corte di Cassazione che in numerose sentenze (ex plurimis Corte di Cassazione nn. 4364/2014, 3076/2012, 13540/2008) ha ribadito che integra il reato di diffamazione ex art. 595 codice penale, l'affissione dei nominativi dei condomini morosi negli spazi condominiali comuni e di fatto accessibili ad un numero indeterminato di soggetti anche estranei al condominio stesso come, ad esempio, nella bacheca degli avvisi spesso presente nell'androne d'ingresso del condominio.
A maggior ragione, indipendentemente dalla veridicità dell'informazione, è diffamazione riferire verbalmente a terzi circa la morosità di un condomino, fuori dai casi sopra esposti (creditori e assemblea), come ancora una volta ribadito dalla Suprema Corte in una recente sentenza (Corte di Cassazione, sezione quinta penale, n. 46498, 11/11/2014).
A dover fare attenzione, dunque, non è solo l'amministratore del condominio, ma anche tutti i condomini e i creditori messi a conoscenza delle informazioni relative alle posizioni di morosità.