Con la nuova formulazione dell'art. 38, quinto comma, del D.P.R. n. 600/1973, il legislatore ha definito in modo più puntuale la natura del redditometro, distinguendolo in modo netto dall'accertamento «sintetico puro». Invero, la formulazione del citato quinto comma dell'art. 38 dà vita a uno strumento «standardizzato» di determinazione di ricchezza tassabile, basato su «coefficienti di trasformazione di spese in reddito».
Su questo tema la Suprema Corte nella sentenza annotata cristallizza un’importante norma giuridica, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, e con riguardo alla rettifica, con metodo sintetico, del reddito complessivo delle persone fisiche, in forza della quale è legittima l'applicazione degli indici e coefficienti presuntivi di reddito (cosiddetto redditometro ), stabiliti nel D.M. 10 settembre 1992, e D.M. 19 novembre 1992, ai redditi maturati in epoca anteriore alla entrata in vigore degli stessi, attesa la natura esclusivamente procedimentale degli strumenti normativi secondari, la cui emanazione è prevista dall’art. 38, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973, a fini esclusivamente accertativi e probatori.
IL CASO
La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, respingeva, con sentenza n. 16/34/2006, depositata in data 10/03/2006, l'appello proposto, in data 25/05/2001, dall'Agenzia delle Entrate Ufficio Vimercate, avverso la decisione n. 137/04/2000 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che aveva accolto il ricorso di " M." C. contro un avviso di accertamento, notificato nell'ottobre 1997, relativo alle maggiori imposte IRPEF ed ILOR dovute per l'anno 1990, a seguito di rettifica del reddito dichiarato dal contribuente, in applicazione del D.M. 10 settembre 1992, e D.M. 9 novembre 1992, istituenti il c.d. redditometro.
La Commissione Tributaria Regionale respingeva il gravame dell'Agenzia delle Entrate, ritenendo inapplicabile "retroattivamente", al fine di valutare la congruità di una dichiarazione dei redditi anteriore, il nuovo strumento di determinazione dei redditi, introdotto successivamente, in quanto, pur riconoscendo "una eccessiva stringatezza della motivazione della sentenza impugnata":
- il contribuente, al momento della dichiarazione, nel 1990, "non poteva sapere che le sue asserzioni sarebbero state vagliate in base a criteri, della cui futura esistenza non era ovviamente in grado di sapere nulla";
- trattandosi di normazione secondaria (di natura governativa) essa non poteva contrastare, in punto di efficacia per il futuro e non retroattiva, "con i principi generali e normativa primaria, come le c.d. preleggi", in difetto di espressa previsione normativa;
- anche ad ammettere l'efficacia retroattiva di detto strumento, introdotto con i DD.MM., esso poteva comunque costituire solo uno degli indizi, per ricostruire in via induttiva il reddito del contribuente, occorrendo il supporto di altri elementi, nella specie non offerti dall'Ufficio;
- peraltro il M. aveva anche asserito, senza peraltro provarlo in via documentale, che uno dei cespiti oggetto di esame, un veicolo, il cui valore "pesava in misura maggiore", non era di suo esclusivo uso, essendo in uso anche della società in come collettivo di cui era socio al 50%.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione, notificato in data 17/4/2007 a M.C., l'Agenzia delle Entrate, deducendo tre motivi, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3
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