IL CASO
La Corte d'Appello di Firenze aveva rigettato la domanda di un dipendente volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento in tronco dall’azienda, con le consegue applicazioni dell'art. 18 della L. 300/1970, c.d. Statuto dei lavoratori. La Corte d'appello aveva precisato fra l’altro che :
a) sono infondate le censure del dipendente sulla asserita incompletezza della lettera di contestazione degli addebiti e di quella successiva di intimazione del licenziamento, visto che entrambe si riferiscono agli stessi addebiti;
b) è anche infondata la doglianza relativa all’intempestività della contestazione degli addebiti, visto che il periodo di circa due mesi di cui si è avvalsa la società appare congruo per l'effettuazione delle necessarie verifiche.
c) quanto alle formalità di intimazione del licenziamento, va esclusa la necessità della previa affissione del codice disciplinare, in quanto la condotta addebitata al dipendente - consistente nell’aver utilizzato come retribuzione i rimborsi spese inerenti l’attività lavorativa - ha una indiscussa rilevanza ai fini della giusta causa del licenziamento.
d) nel merito, la sanzione espulsiva appare proporzionata al fatto contestato, in quanto se da un lato la speciale tenuità del danno patrimoniale cagionato al datore di lavoro non esclude la sussistenza della giusta causa, d'altra parte assume, invece, un ruolo importante l'idoneità della condotta ad incrinare il rapporto di fiducia perché sintomo di un certo modo di porsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti nel rapporto;
e) la posizione ricoperta dal dipendente. in ambito aziendale - quale impiegato di primo livello con compiti ispettivi e frequenti trasferte - porta a concludere che le reiterate mancanze contestategli abbiano compromesso irrimediabilmente il vincolo fiduciario insito nel rapporto di lavoro, senza che contino in senso contrario né il contenimento di quanto speso nella somma complessivamente a disposizione del lavoratore per i due pasti giornalieri, né la asserita "condivisione" e non l'offerta dell'unico pasto giornaliero consumato con altri (la fidanzata dell'epoca), né la dedotta buona fede derivante dall'erronea interpretazione del regolamento aziendale (la cui disciplina sul punto è molto analitica e chiara).
Il ricorso in cassazione del dipendente si basa su quattro motivi in particolare:
a) il primo motivo in relazione alla qualificazione della natura del licenziamento rispetto ai fatti contestati e ai relativi effetti;
b) il secondo motivo denunciava la mancata affissione del codice disciplinare e la contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio;
c) il terzo motivo relativo alla mancanza di ogni indagine volta a valutare l'entità del danno;
d) il quarto motivo denunciava: a) la valutazione dell'elemento soggettivo; b) l’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
La Cassazione respinge il ricorso affermando che In tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro ovvero all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa del datore di lavoro.
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