Quando ci apprestiamo a trattare il tema sugli espatriati (italiani residenti all’estero), e più nello specifico gli aspetti fiscali, ci imbattiamo spesso nel concetto dei “183 giorni”, ed alcune volte siamo indotti a fare un po’ di confusione.
Innanzi tutto: perché si è voluto fare riferimento a quest’ambito temporale?
La risposta è semplice ed intuitiva; il legislatore ha voluto (quasi sempre), indicare la maggior parte del periodo di imposta. Noi tutti conosciamo che di regola il periodo d’imposta è di 365 giorni; 183 giorni (365/2=182,5), rappresenta appunto “la maggior parte del periodo di imposta”.
Quest’ambito temporale è stato accompagnato sempre ad altri elementi, a seconda dell’aspetto esaminato.
I tre punti in evidenza,riguardanti il nostro tema, possono essere così espressi:
1. Art. 2 del Tuir; aspetto temporale che fornisce il concetto di residenza
2. Art. 51 c. 8 bis del Tuir; aspetto temporale che identifica l’applicazione della “Tassazione concorrente”.
3. Art.15 della Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni: Aspetto temporale che identifica i requisiti per evitare la duplice imposizione in base alle Convenzioni Internazionali.
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L’art. 2 comma 2 definisce quali sono i requisiti per considerare il soggetto passivo di imposta residente fiscale in Italia.
I requisiti sono tre:
a) Essere residente in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta.
b) Essere iscritti nelle anagrafi comunali della popolazione residente in Italia.
c) Avere eletto nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio o la propria residenza , ai sensi del codice civile.
Come si può rilevare al punto a), il nostro legislatore non ha usato un numero, dovendo considerare anche gli “anni bisestili”, con 366 giorni all’anno; in questa ipotesi, se si fosse utilizzato un riferimento numerico, la maggior parte del periodo di imposta avrebbe dovuto essere 184 giorni. Per questo motivo ha voluto genericamente riferirsi “alla maggior parte del periodo d’imposta”.
Dell’art. 51 comma 8 del Tuir ho già trattato nei giorni scorsi quest’argomento (Lavoratori espatriati: la determinazione della tassazione concorrente e l’attribuzione del credito di imposta); in questa sede voglio solo riprendere l’ambito temporale, ponendolo a confronto con le altre due ipotesi.
Qui il legislatore, facendo riferimento a quei lavoratori che mantengono la residenza fiscale in Italia, e dovendo pagare le imposte sia in Italia, che nello Stato di destinazione, ha voluto rendere meno pesante il duplice prelievo.
Vengono previsti due requisiti:
a) Avere un contratto che prevede la continuità e l’esclusività.
b) Soggiornare nello Stato estero, nell’arco di 12 mesi, per più di 183 giorni.
Vorrei porre in risalto che a differenza di quanto indicato al precedente punto, sulla residenza fiscale, qui invece non si calcolano le giornate di presenza all’estero facendo riferimento al “periodo di imposta”, bensì alla permanenza del lavoratore all’estero, stabilita nello specifico contratto di lavoro, che può prendere a cavallo anche un periodo in due anni solari.
Questo è un aspetto un po’ delicato, perché il lavoratore per ottenere il rimborso delle imposte pagate all’estero, deve attendere un periodo abbastanza lungo, cioè quando in quel determinato Paese le tasse diventano definitive.
In molti casi, in attesa del rimborso, il lavoratore concorda con il proprio datore di lavoro di ottenere un prestito pari alle tasse corrisposte all’estero, fino a quando queste gli verranno poi restituite. Giova rammentare che questo è un benefit a tutti gli effetti; dovrebbe essere oggetto di assoggettamento fiscale e previdenziale in base al 50% del Tus; personalmente ritengo possa rientrare tra quelli assorbiti nell’ambito della determinazione delle “retribuzioni convenzionali”
Il criterio di rimborso del credito è disciplinato in modo dettagliato dall’articolo 165 del Tuir o in alternativa in base articolo 23 comma 3 del DPR 600/1973; voglio solo evidenziare che in linea generale non è possibile avere in restituzione imposte superiori a quelle pagate in Italia e che, per determinare le imposte dovute in Italia, non devono essere prese in considerazione le perdite dei precedenti periodi di imposta ammesse in deduzione.
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