Analizziamo in questo breve approfondimento quanto previsto dalla normativa civilistica e e da quella fiscale in merito alle scritture ausiliarie di magazzino.
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Le norme del codice civile, dedicate alla tenuta e conservazione delle scritture contabili dell’impresa, non prevedono espressamente uno specifico obbligo di tenuta di scritture ausiliarie di magazzino.
Tuttavia secondo parte della dottrina (si veda, ad esempio, V. Artina e M. Castellani, in Pratica Fiscale e Professionale, n. 47/2006, pag. 26 e seg.) le scritture ausiliarie di magazzino dovrebbero rientrare tra le scritture contabili di cui all’art. 2214, secondo comma, del Codice Civile; infatti, il riferimento alle “scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa” previsto da tale articolo, deve interpretarsi nel senso di rendere obbligatorie quelle rilevazioni contabili che la prassi e la dottrina aziendalistica hanno elaborato in relazione alla gestione del magazzino per le imprese nelle quali una organizzata gestione delle scorte e delle giacenze sia inscindibilmente legata ad una oculata ed accorta amministrazione.
La normativa fiscale, al contrario, prescrive l’obbligo della tenuta di specifiche scritture ausiliarie di magazzino nel caso in cui l’impresa soddisfi a determinati requisiti quantitativi in relazione ai ricavi realizzati e alla consistenza delle rimanenze d’esercizio.
In particolare l’art. 14, comma 1, lett. d) del D.P.R. 600/1973 prevede, in senso generale, che le imprese commerciali obbligate all’adozione della contabilità ordinaria sono tenute ad implementare “scritture ausiliarie di magazzino, tenute in forma sistematica e secondo norme di ordinata contabilità, dirette a seguire le variazioni intervenute tra le consistenze negli inventari annuali”.
L’art. 1, comma 1, del D.P.R. 695/1996 prevede che le scritture ausiliarie di magazzino “devono essere tenute a partire dal secondo periodo di imposta successivo a quello in cui per la seconda volta consecutivamente l’ammontare dei ricavi (per le imprese commerciali determinati ai sensi dell’art. 85 del D.P.R. 917/1986), ed il valore complessivo delle rimanenze (ai sensi degli artt. 92, 92-bis, 93 del D.P.R. 917/1986) sono superiori rispettivamente a 10 miliardi di lire (5.164.568,99 euro) e 2 miliardi di lire (1.032.913,80 euro)”. (Es. se nel 2010 e 2011 i parametri dei ricavi e rimanenze sono superati l’obbligo della tenuta delle scritture di magazzino si applica a partire dal 2013 che è il secondo periodo d’imposta successivo).
Tale obbligo, tuttavia, viene meno a partire dal primo periodo di imposta successivo a quello in cui per la seconda volta consecutivamente l’ammontare dei ricavi o il valore delle rimanenze è inferiori ai predetti limiti.
Il terzo paragrafo dell’articolo citato precisa che ” Ai fini della determinazione dei limiti sopra indicati non si tiene conto delle risultanze di accertamenti se l’incremento non supera di oltre il quindici per cento i valori dichiarati”.
Numerosi autori, partendo dal dato letterale della norma che non fa alcun specifico riferimento all’esistenza di un “magazzino fisico” presso l’impresa, hanno posto il problema interpretativo se l’obbligatorietà o meno delle scritture ausiliarie di magazzino prescinda dalla movimentazione fisica della merce in un magazzino interno o esterno all’impresa, come ad esempio si verifica nelle cd. “cessioni in triangolazione”, in cui un’impresa acquista prodotti che immediatamente rivende senza che la merce transiti effettivamente in un magazzino.
La prassi amministrativa non ha espressamente affrontato la questione per cui la nostra indagine si è rivolta all’esame di alcuni contributi di dottrina sull’argomento.
Nello specifico alcuni autori (I. Facchinetti, Gestione e contabilità del magazzino, IlSole24Ore, Milano, 2001, pag. 150 e seg., A. Pederzoli, Contabilità di magazzino, in Contabilità, Finanza e Controllo, n. 1/2003, pag. 16 e seg.) ritengono che la norma, non richiedendo espressamente l’esistenza di un “magazzino fisico” presso la società, debba interpretarsi nel senso che l’annotazione di tutti i movimenti in entrata e in uscita della merce debba comunque essere effettuata nell’ambito di apposite scritture di magazzino.
Pertanto, i movimenti di carico e scarico devono essere annotati sia nel caso in cui avvengano in un magazzino interno, sia nel caso in cui si configuri un magazzino presso terzi o merce in viaggio.
Inoltre non costituisce elemento che determina l’esclusione dalla tenuta della contabilità di magazzino l’inesistenza alla fine dell’esercizio di beni presenti in un magazzino come nel caso in cui all’acquisto corrisponda immediatamente la vendita sempre che, in base alle clausole incoterms, vi sia un effettivo acquisto e una successiva anche se contestuale rivendita dei prodotti.
In base alle osservazioni appena svolte, quindi, il parametro di riferimento (oltre, come visto, ai ricavi) per la determinazione dell’obbligo della tenuta delle scritture di magazzino non sarebbe rappresentato dalla presenza di una giacenza finale alla fine dell’esercizio, sia essa contabile o fisica, bensì l’attenzione dovrebbe essere posta all’ammontare degli acquisti effettuati nel periodo di imposta precedente.
Tanto premesso, appare raccomandabile, anche alla luce della ratio dell’art. 2214 del Codice Civile, la tenuta di apposite scritture ausiliarie di magazzino che permettano la registrazione sistematica, tramite annotazioni di carico e scarico delle operazioni, anche delle cd. “cessioni in triangolazione” nelle quali come detto non vi è passaggio fisico della merce presso la società cedente (e che quindi non determinano l’esistenza di alcuna giacenza fisica alla fine dell’esercizio).
In virtù del citato art. 14 del D.P.R. 600/1973 è invece possibile escludere da rilevazione soltanto quelle movimentazioni di beni esplicitamente menzionate dalla norma, ovvero “i movimenti relativi a singoli beni o a categorie inventariali il cui costo complessivo nel periodo di imposta precedente non eccede il 20% di quello sostenuto nello stesso periodo per tutti i beni sopraindicati (cioè quelli oggetto di rilevazione)”.
In altre parole, in virtù di questa parte della norma è dunque possibile escludere dalle annotazioni un numero di beni individuati a partire da quelli che hanno la percentuale di incidenza più bassa rispetto al costo complessivo di tutti gli acquisti effettuati nel precedente periodo di imposta, in modo tale che la somma delle percentuali relative ai beni esclusi non ecceda il 20%.