La circolare del Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi Professionali in una circolare del 2 gennaio 2012 fa il punto sui punti di criticità della norma che attende l'emanazione di un regolamento che precisi che"la volontà del legislatore di conservare in capo alla società i medesimi requisiti richiesti al singolo professionista per lo svolgimento di qualsiasi attività professionale regolamentata e che prescinde, come noto, dal fatto che talune attività siano o meno riservate.
Di conseguenza, non vi può essere spazio nella attività della società per attività svolte da terzi non abilitati esattamente come un singolo professionista non può svolgere alcuna delle attività rientranti nel proprio ordinamento se non con il proprio titolo professionale ed assoggettandosi alla relative norme disciplinari; "
Di seguito il testo completo della circolare.
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Circolare CUP del 2 gennaio 2012 per esame e proposte sulle nuove norme delle Società tra professionisti
Premessa
L’art. 10 della Legge 12 novembre 2011, n. 183 contiene norme per la riforma degli ordinamenti professionali e disposizioni per la disciplina delle società tra professionisti.
Il documento esamina, in particolare, la
disciplina della società tra professionisti (STP) mettendone in evidenza gli aspetti di maggiore criticità che potranno essere solo in parte colmati dai regolamenti di attuazione.
Si evidenzia la necessità di intervenire sul testo introdotto dalla legge di stabilità 2012 con alcune
proposte di modifica al fine di completare o almeno meglio definire la disciplina delle STP affinché le prerogative degli ordinamenti professionali non rischino di essere vanificati dalla forma giuridica con cui una professione viene svolta.
Le forme giuridiche per la costituzione della STP
Ai sensi dell’art. 10, comma 3, l.n. 183/2011, viene consentita la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati nei titoli V e VI del libro V del codice civile. Pertanto in fase di costituzione si potrà ricorrere allo schema della:
società semplice;
società in nome collettivo;
società in accomandita semplice;
società per azioni;
società in accomandita per azioni;
società a responsabilità limitata;
società cooperativa.
La disposizione, come avremo modo di chiarire nel prosieguo, reca alcuni importanti principi.
In primo luogo, è bene evidenziare già adesso quanto previsto nel comma 4, lett. a), dello stesso art. 10, dove con riferimento all’oggetto sociale della costituenda società, si specifica che esso debba consistere nell’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci.
Consentire, infatti, la costituzione di società per “..l’esercizio di attività professionali regolamentate …” equivale a dire:
che l’oggetto sociale esclude qualsivoglia attività d’impresa ed è dunque ristretto alle attività professionali che possono concretamente svolgere i professionisti appartenenti alle cd. professioni regolamentate, dunque quelle indicate negli ordinamenti professionali, che l’esercizio delle stesse è limitato ai soci della società che risultano iscritti in albi o collegi professionali secondo il disposto dell’art. 2229 c.c., previo superamento dell’esame di Stato previsto nell’art. 33, co. 5, della Costituzione.
In secondo luogo, si permete la costituzione di società tra professionisti ricorrendo anche allo schema societario delle società di capitali e consentendo, in definitiva, la limitazione della responsabilità patrimoniale del socio (professionista e non) che risponderà solamente nei limiti del capitale effettivamente versato.
L’acquisto della personalità giuridica da parte della società, però, presuppone l’esistenza e il conseguente riconoscimento di un soggetto differente dalle persone dei soci che necessita di una compiuta struttura organizzativa in grado di realizzare al meglio gli obiettivi che gli stessi soci fondatori si sono prefissati e che, stando alle norme, possono coincidere solo in parte con l’esercizio dell’attività professionale, ancorché questa ne rappresenti l’oggetto sociale “tipico” ed esclusivo. In ogni caso, al fine di fugare ogni dubbio interpretativo, peraltro già azzardato da parte di taluno che intravede nella società di capitale applicata alle Professioni uno strumento per la mera industrializzazione dei servizi professionali, è opportuno che si precisi ulteriormente il testo per rimarcare l’esclusività delle attività professionali e del loro esercizio esclusivo da parte dei soci professionisti. Ciò può ben avvenire anche nell’ambito del regolamento interministeriale previsto dal comma 10 in materia di criteri e modalità di esecuzione dell’incarico.
A tal riguardo, va messo in luce l’importante elemento di novità rispetto all’orientamento tradizionale, vale a dire la possibilità di costituire la STP secondo i tipi societari previsti per l’attività di impresa ed anche di tipo capitalistico. Ciò solo apparentemente potrebbe rappresentare una deroga al principio che caratterizza la prestazione professionale individuale, vale a dire quello per cui la prestazione professionale si basa sull’intuitus personae. Tale regola invero è stata in più luoghi “recuperata” dal legislatore della Legge n. 183/2011.
Tuttavia, vista la scarsa precisione impiegata dal legislatore nella Legge n. 183/2011 nel tratteggiare i lineamenti della società tra professionisti costituita secondo una delle tipiche forme delle società di capitali, le lacune andranno auspicabilmente colmate in sede statutaria con la formulazione di precise clausole che tengano in considerazione l’esigenza di coordinare la personalità della prestazione professionale con la struttura societaria e la relativa organizzazione in cui questa ultima viene fornita. Ma in questo senso ancor più assume importanza la regolamentazione interministeriale prevista dal comma 10, per la quale si richiede espressamente un fattivo coinvolgimento delle Professioni, che potrà ben delimitare l’autonomia statutaria al fine di salvaguardare il presupposto inderogabile della “personalità della prestazione”, che è patrimonio di fiducia nei confronti dei professionisti insito nel nostro contesto socio-economico.
Analoghe considerazioni di merito e di metodo possono spendersi anche per l’esatta individuazione dei regimi disciplinari applicabili, partendo dal presupposto che non sia possibile effettuare discriminazioni tra illeciti disciplinari compiuti dal socio che sia professionista e illeciti disciplinari posti in essere dal professionista che socio non è; peraltro, ancorché a questi sia impedito lo svolgimento della attività, ben potrebbe adoperarsi con azioni nell’interesse della società, ma in contrasto con la deontologia dei soci professionisti.
Anche a questo proposito, il legislatore ha opportunamente disposto la necessità di un regolamento interministeriale in difetto del quale l’attività di vigilanza degli Ordini è impossibile nei confronti della società.
Pertanto, con la ferma volontà di valorizzare sempre più l’attività disciplinare, si richiede espressamente un fattivo coinvolgimento delle Professioni, al lavoro di stesura del Regolamento.
Le previsioni dell’atto costitutivo delle STP - società tra professionisti
Il comma 4 del summenzionato art. 10 indica le
previsioni dell’atto costitutivo della società tra professionisti.
Va preliminarmente evidenziato che la forma dell’atto costitutivo della società tra professionisti sarà quella prevista ex lege dal tipo societario effettivamente utilizzato così come il relativo regime pubblicitario.
Ad ogni buon conto, l’atto costitutivo di qualsiasi società tra professionisti deve contenere i seguenti criteri generali:
a) esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci;
b) l’ammissione in qualità di soci di: soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, in possesso del titolo di studio abilitante, soggetti non professionisti unicamente per prestazioni tecniche, o per finalità di investimento;
c) criteri e modalità affinché: l’esecuzione dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione professionale richiesta;
la designazione del socio professionista sia compiuta dall’utente e, in mancanza di tale designazione, il nominativo debba essere previamente comunicato per iscritto all’utente;
d)
modalità di esclusione dalla società del socio che sia stato cancellato dal rispettivo albo con provvedimento definitivo.
Ferme restando le considerazioni espresse già nel paragrafo precedente con riferimento alla lettera a), dunque all’esercizio esclusivo della attività da parte dei soci professionisti, che rappresenta un presidio imprescindibile, al contempo, dato che lo statuto della società deve inderogabilmente prevedere quale suo oggetto “l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci”, viene negata in nuce la possibilità che tali società possano essere costituite per lo svolgimento anche di attività non professionale.
Tale assunto, di estrema importanza a livello redazionale, si esplicita nel corollario per cui anche nelle strutture costituite secondo i tipici modelli capitalistici la prestazione professionale debba essere effettuata solo da soggetti che siano effettivamente professionisti ed incaricati secondo le
modalità che dovranno essere regolamentate dal Ministero della Giustizia di concerto con quello dello Sviluppo Economico.
Considerato, poi, che l’attività professionale è la sola attività che può essere svolta, a nulla rileva distinguere tra attività professionali riservate o non riservate, essendo per definizione “professionali” tutte le attività svolte con il proprio titolo dal professionista ricomprese tra quelle il cui svolgimento è consentito dall’ordinamento professionale. Tale considerazione si basa sulla normativa comunitaria in virtù della quale un’attività è regolamentata, riservata o meno, quando essa è svolta con un titolo professionale (Direttiva 2006/123/CE e D.Lgs. 59/2010, dal cui ambito di applicazione è peraltro espressamente esclusa la funzione notarile).
Con riferimento alle qualità dei soci professionisti, si rileva sin dall’inizio che è necessario riformulare la lettera b) del comma 4, art. 10, laddove ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea si richiede per la partecipazione alle STP il solo possesso del titolo di studio abilitante. La norma è inesatta e deve essere riformulata facendo riferimento alla qualifica professionale riconosciuta per l’esercizio della professione regolamentata nel rispetto delle previsioni della direttiva 2005/36/CE e del D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 206, e non al mero titolo di studio abilitante che, in quanto tale, non attribuisce alcuna qualifica professionale, ma solo il diritto a conseguirla ottenendo l’abilitazione, in qualunque forma essa sia prescritta dalle norme vigenti.
Quanto disposto poi dalla lettera c), e che il comma 10 sottopone alla necessità di uno dei tre regolamenti interministeriali, rappresenta una ulteriore specificazione della volontà del legislatore di conservare in capo alla società i medesimi requisiti richiesti al singolo professionista per lo svolgimento di qualsiasi attività professionale regolamentata e che prescinde, come noto, dal fatto che talune attività siano o meno riservate. Una attività professionale è tale quando è compresa tra quelle identificate in un determinato ordinamento professionale ed in quanto svolta da un professionista iscritto al relativo Albo. Di conseguenza, non vi può essere spazio nella attività della società per attività svolte da terzi non abilitati esattamente come un singolo professionista non può svolgere alcuna delle attività rientranti nel proprio ordinamento se non con il proprio titolo professionale ed assoggettandosi alla relative norme disciplinari.
Le previsioni del quarto comma costituiscono disposizioni di un certo rilievo e con duplice funzione.
In sede di primo commento, infatti, appare di una certa evidenza come esse oltre a rappresentare alcuni degli elementi caratterizzanti la società tra professionisti di nuovo conio, siano state inserite al fine di recuperare quel concetto di personalità della prestazione professionale cui sopra si accennava.
Tale obiettivo viene sicuramente perseguito tramite le previsioni sub b) e sub c): una visione d’insieme delle disposizioni, infatti, consente di affermare che anche nelle strutture costituite secondo i tipici modelli capitalistici, ogni prestazione professionale debba essere effettuata solo da soggetti che siano effettivamente professionisti e che appaiono tali anche al cliente che conferisce l’incarico.
Tali concetti, vengono ribaditi tramite l’ulteriore specificazione per cui soggetti non professionisti, ancorché si consenta loro l’ammissione quali soci, vedono limitato il proprio apporto a prestazioni tecniche (veri e propri soci d’opera strumentale alle prestazioni professionali) o a mero investimento di capitale.
Stessa attenzione andrà riservata, in sede di predisposizione dello statuto, alle previsioni di cui alla lett.
d) del comma 4 in commento, in considerazione del collegamento funzionale tra cancellazione dall’albo conseguente all’irrogazione di sanzione disciplinare definitiva, ed esclusione ope iuris dalla società.
Il dato non è da trascurare per un duplice motivo.
Con esso, in primo luogo, si ribadisce la natura strettamente professionale dell’attività della STP dal momento che la cancellazione dall’albo in cui il socio professionista è iscritto comporta l’esclusione di diritto dalla società che è e resta una società esclusivamente destinata all’esercizio dell’attività professionale e dunque preclusa a quanti iscritti all’albo incorrano in illeciti disciplinari gravi ed irrimediabili. In secondo luogo, tale previsione, ancorché il legislatore taccia sul punto, va direttamente raccordata con le previsioni contenute nell’art. 3, comma 5, del d.l. 138/2011 relative, come è noto, al rinnovato sistema del procedimento disciplinare a cui gli ordinamenti professionali debbono adeguarsi entro il 13 agosto 2012. Sarebbe opportuno, allora, che i regolamenti ministeriali di prossima emanazione non trascurino anche tale importante aspetto che, invece, in base ad una interpretazione meramente letterale, sembra escluso dall’ambito di intervento della normativa secondaria (cfr. comma 10, art. 10, l.n. 183/2011).
La denominazione della società e divieto di partecipazione a più STP
I commi 5 e 6 dell’art. 10 della l.n. 183/2011 recano due importanti principi relativi allo svolgimento dell’attività professionale in forma societaria già noti alla nostra tradizione (cfr. società di avvocati).
La prima previsione sancisce che
qualunque sia la forma della società nella sua denominazione sociale dovrà esservi l’indicazione «società tra professionisti». Viene riconfermato, in tal modo, l’assunto per cui l’esercizio dell’attività professionale costituisce oggetto esclusivo della STP tanto che anche nella denominazione sociale non possa prescindersi dall’inserimento dell’elemento 6 qualificante la società rispetto ai terzi che con essa entrano in contatto. Va da sé che è impensabile che una simile tipologia di società possa svolgere attività diverse o addirittura d’impresa.
La seconda previsione, invece, afferma il
principio per cui la partecipazione ad una società è incompatibile con la partecipazione ad altra società tra professionisti.
Con riferimento al socio professionista, nel solco tracciato dall’art. 21 del d.lgs. 96/2001 e confermato dal d.lgs. n. 223/2006 (c.d. Decreto Bersani) si esclude la contemporanea partecipazione del professionista a più società. Non essendo dedicata al regime di incompatibilità altra previsione, è fuori di dubbio che il professionista possa continuare a svolgere l’attività professionale a titolo individuale ovvero nell’ambito di una associazione professionale.
Piuttosto, il legislatore ha stabilito che la materia di cui al comma 6, ovvero
il divieto di partecipare ad altra società tra professionisti, sia disciplinata con l’adozione di uno specifico regolamento. Appare di tutta evidenza che la previsione normativa che fissa il divieto di partecipazione a più società da parte dei soci è di per sé esaustiva. Non può che ritenersi, allora, che il legislatore sia incorso in un mero errore.
E’ invero ragionevole ritenere che il regolamento avrebbe dovuto riferirsi alla principale materia che necessita di regolamentazione, ovvero i limiti e le modalità della partecipazione dei soci non professionisti. Dovendo intervenire nella riformulazione del comma 10 dell’art. 10 della legge di stabilità per correggere il riferimento normativo oggi al comma 6, è auspicabile che ciò avvenga sostituendolo con il riferimento al comma 4, lett. b), prevedendo dunque l’adozione di un regolamento che disciplini le modalità ed i limiti della partecipazione dei soci non professionisti alla STP, ovvero in maniera più incisiva prevedendo direttamente nella legge di stabilità (e cioè nella fonte primaria) le modalità ed i limiti della partecipazione dei soci non professionisti alla STP.
Il regime disciplinare
Il comma 7 dell’art. 10 della l.n. 183/2011 delinea a grandi tratti il regime disciplinare della STP stabilendo che
“i professionisti soci sono tenuti all’osservanza del codice deontologico del proprio ordine, così come la società è soggetta al regime disciplinare dell’ordine al quale risulti iscritta”.
Pertanto, la lettera della norma, consente di agevolmente concludere che:
la società deve essere iscritta all’albo professionale;
gli illeciti disciplinari possono essere imputati sia al professionista, sia alla società;
sia il professionista, sia la società possono essere sottoposti a procedimento disciplinare.
Su tali generali previsioni è destinato ad intervenire il regolamento interministeriale previsto dal comma 10.
In particolare, occorrerà:
individuare le relazioni esistenti fra gli illeciti disciplinari posti in essere dal professionista e le direttive impartite dalla società al socio, come anche individuare la disciplina applicabile nei casi in cui non esista coincidenza tra ordine territoriale a cui è iscritta la società e ordine territoriale a cui risulta iscritto il socio (si pensi, a titolo esemplificativo all’ipotesi dell’illecito compiuto da socio iscritto in un ordine territoriale nella cui circoscrizione la società abbia una sede secondaria);
stabilire, poi, quali conseguenze sull’organizzazione societaria produrrà l’aver comminato una sanzione disciplinare di una certa gravità (possibile relazione tra scioglimento della società e cancellazione o radiazione dall’albo) alla società.
In difetto di tale regolamentazione sarebbe di fatto impedito agli Ordini di svolgere la loro prioritaria attività di vigilanza disciplinare, con grave danno per la collettività determinato da siffatto vuoto normativo.
Ciò fa sì che nessuna società tra professionisti possa essere iscritta ad alcun albo fin quando tale regolamentazione sarà stata emanata.
E fino a quando tale iscrizione all’albo non potrà essere fatta la società, anche se costituita e inserita nel Registro delle Imprese, non potrà svolgere in concreto la propria attività. Infatti condizione essenziale per la stessa è che presso il Registro delle Imprese venga depositata la certificazione (assimilabile alle autorizzazioni di cui all’art. 2329 cc) rilasciata dal competente Ordine professionale e attestante l’avvenuta iscrizione presso lo stesso della società, previa valutazione da parte dell’Ordine medesimo dell’esistenza dei requisiti previsti dalla legge e dall’emanando Regolamento.
Società interdisciplinari o interprofessionali
Il comma 8 dell’art. 10 della l.n. 183/2011 prevede la
possibilità di costituire società tra professionisti anche per l’esercizio di più attività professionali.
La generica formulazione impiegata dal legislatore lascia adito al dubbio che ci si possa riferire anche all’esercizio «di più attività professionali» riconducibili alla stessa professione.
Tale dubbio sarebbe peraltro avvalorato anche dal comma 7 dove, come sopra esaminato, si fa riferimento
«al regime disciplinare dell’ordine al quale risulti iscritta» e non si considera, invece, l’ipotesi di molteplici iscrizioni in relazione alla diversa qualificazione professionale che i soci potrebbero avere nel caso si società multi-‐professionali o interprofessionali. In considerazione delle reali motivazioni che hanno spinto il legislatore ad introdurre il tipo della STP nel nostro ordinamento, la norma sembra essere invero finalizzata a consentire la costituzione di società tra iscritti a professioni diverse.
Tuttavia, anche accettando tale assunto, resta da chiarire:
a quale albo debba iscriversi la società costituita tra professionisti iscritti ad albi differenti;
come tale previsione debba essere recepita dagli ordinamenti professionali in cui esistano precipue o pressoché totali incompatibilità con l’esercizio di altre attività professionali.
Salvezza dei modelli societari ed associativi esistenti
Dubbi interpretativi sorgono anche dalla lettura dei commi 9 e 11 dell’art. 10 della l.n. 183/2011.
Le norme richiamate, infatti, prevedono, la “salvezza” dei diversi modelli societari e dei modelli associativi già vigenti alla data di entrata in vigore della legge di stabilità. L’intento appare chiaro, ovvero consentire ai professionisti associati di conservare lo status giuridico prescelto; al contempo, però, viene disposta l’abrogazione della legge 23 novembre 1939, n. 1815, unica fonte che attualmente disciplina, ancorché in parte, i modi di costituzione degli studi associati. Tale intervento non è condivisibile perché priva le associazioni professionali esistenti della pur minima regolamentazione che ne riconosceva almeno la possibilità di esistenza. Inoltre, l’abrogazione così fatta determina anche l’impossibilità in futuro di scegliere il modello associativo che finora ha rappresentato l’unica possibilità per l’universo dei professionisti e che ben potrebbe continuare a rappresentare una forma apprezzabile.
La sostituzione del modello associativo, ancorché auspicata da tempo, non può diventare una costrizione immediata, né si ritiene tale sia stato l’intento del Legislatore, per cui si evidenzia la necessità di correzione.
Talune altre importanti considerazioni
Come è noto, il richiamo operato ai titoli V e VI del libro V del codice civile è ai modelli societari tipici dell’impresa, da adattare con tutto quanto previsto ai comma successivi per l’attività dei professionisti.
In tale contesto, la lettera della norma fa ritenere impossibile la costituzione di società unipersonale dato che il riferimento all’attività professionale “da parte dei soci” sembra escludere differenti interpretazioni. Del resto, poi, neppure è nello spirito normativo introdurre un diverso modo di svolgimento della attività professionale se non quando questa vuole avvenire in forma collettiva.
Piuttosto, non si rinvengono, indici normativi relativi ad alcuni aspetti di innegabile particolare importanza per l’esercizio dell’attività professionale in forma societaria.
Considerato l’oggetto esclusivo della società, limitato, come detto all’esercizio dell’attività professionale, onde evitare plateali disparità trattamento tra società di professionisti e professionista che esercita a titolo individuale, va ribadito con chiarezza il principio per cui la società non è soggetta alla legge fallimentare, proprio per la netta distinzione che l’esclusività della attività professionale produce nei confronti dell’attività d’impresa.
Del pari e per analoga distinzione, a livello fiscale, andranno applicate esclusivamente le norme sul reddito professionale. L’attività della società è esclusivamente professionale e dunque non d’impresa benché la forma giuridica organizzativa sia stata mutuata da tale contesto. In virtù di ciò, non è possibile attrarre alle normative esclusivamente riferite all’impresa una diversa attività.
Guardando comunque avanti
Le norme dettate dalla legge di stabilità per le STP appaiono comunque compatibili con quelle previste nel modello societario delle Società di Lavoro Professionale (SLP) che gli Ordini avevano portato alla attenzione del Ministro della Giustizia nel luglio 2010 nell’ambito delle proposte per una riforma di tutti gli ordinamenti professionali in base a determinati principi a tutti comuni da modernizzare. Tali principi hanno trovato forma legislativa con il D.L. 138/2011, convertito in L. 148/2011, tutti tranne proprio quello che proponeva l’introduzione del modello di società ad hoc per i professionisti.
Il principio cardine delle SLP prevede la prevalenza del lavoro del professionista rispetto all’organizzazione dei fattori produttivi dati dal capitale investito nell’attività e dal lavoro altrui e, laddove siano ammessi soci non professionisti, se ne prevede la remunerazione in forma comunque minoritaria nella partecipazione agli utili e l’impedimento alla nomina nell’organo amministrativo. Tutto ciò è finalizzato alla salvaguardia dell’indipendenza e dell’autonomia del professionista, ma consente che il socio investitore possa trovare una remunerazione di carattere finanziario, comunque diversa da quella d’impresa. Tale principio è chiesto a gran voce da tutte le professioni e può essere recuperato negli statuti di STP costituiti nella forma di SRL tramite l’inserimento di apposite clausole statutarie che prevedano la distinzione della ripartizione degli utili, da parametrare agli apporti di lavoro professionale, rispetto agli apporti di capitale da remunerare come elemento accessorio, con criteri finanziari.
Resta tuttavia la possibilità di sfruttare l’attuale formulazione normativa per costituire società tra professionisti in cui questi ultimi rappresentino niente più che il lavoro a servizio del capitale investito in maggior parte da terzi non professionisti e ciò è inaccettabile.
Esistono a livello comunitario molte esperienze normativo in questo senso e, con minima ricerca (già disponibile), è possibile verificare che una simile previsione non è possibile in alcun altro Stato, ivi compresi i Paesi anglosassoni, notoriamente più evoluti in termini di mercato delle professioni.
Conclusioni
Riepilogando i punti di criticità illustrati:
vi è necessità immediata di precisare che l’attività professionale è l’esclusiva attività che la società può svolgere e che ciò deve avvenire a cura dei soci professionisti, con le modalità di incarico che il regolamento previsto al comma 10 dovrà specificare. Ciò rappresenta una ulteriore specificazione della volontà del legislatore di conservare in capo alla società i medesimi requisiti richiesti al singolo professionista per lo svolgimento di qualsiasi attività professionale regolamentata e che prescinde, come noto, dal fatto che talune attività siano o meno riservate. Di conseguenza, non vi può essere spazio nella attività della società per attività svolte da terzi non abilitati esattamente come un singolo professionista non può svolgere alcuna delle attività rientranti nel proprio ordinamento se non con il proprio titolo professionale ed assoggettandosi alla relative norme disciplinari;
con riferimento alle qualità dei soci professionisti, è necessario riformulare la lettera b) del comma 4, art. 10, laddove ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea si richiede per la partecipazione alle STP il solo possesso del titolo di studio abilitante. La norma è inesatta e deve essere riformulata facendo riferimento alla qualifica professionale riconosciuta per l’esercizio della professione regolamentata nel rispetto delle previsioni della direttiva 2005/36/CE e del D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 206;
laddove è stabilito che la materia di cui al comma 6, ovvero il divieto di partecipare ad altra società tra professionisti, sia disciplinata con l’adozione di uno specifico regolamento, non può che ritenersi che il legislatore sia incorso in un mero errore, per cui è invero ragionevole ritenere che il regolamento avrebbe dovuto riferirsi alla principale materia che necessita di regolamentazione, ovvero i limiti e le modalità della partecipazione dei soci non professionisti;
in difetto della regolamentazione con decreto di cui al comma 10, della materia disciplinare applicata alle società, è di fatto impedito agli Ordini di svolgere la loro prioritaria attività di vigilanza disciplinare, con grave danno per la collettività determinato da siffatto vuoto normativo;
anche con riferimento alle società multiprofessionali vi sono punti da chiarire;
l’abrogazione della L. 1815/1939 priva le attuali associazioni professionali dell’unico riferimento normativo che le legittima e confligge dunque con la volontà espressa di far salvi i modelli societari ed associativi esistenti alla data di entrata in vigore della legge. Ciò necessita di un intervento correttivo per mantenere la legittimità delle migliaia di associazioni professionali esistenti, oltre che la possibilità di costituirne di nuove;
inderogabile è poi la necessità di rendere inequivocabile l’assoggettamento al reddito professionale dell’intera attività della società tra professionisti, nonché di escludere espressamente quest’ultima dalla applicazione della legge fallimentare, proprio per la netta distinzione che l’esclusività della attività professionale imposta alla società produce nei confronti dell’attività d’impresa.
Emerge con chiarezza che la frettolosa e non discussa introduzione della norma che prevede le società tra professionisti impone non solo una riflessione di buon senso, ma anche un immediato intervento correttivo che affianchi l’attività di redazione del decreto che il Ministro della Giustizia, di concerto con quello dello Sviluppo Economico, è chiamato ad emanare nel termine di sei mesi.
Il tempo a disposizione c’è, quanto ne occorrerà per l’emanazione del decreto di cui sopra e le professioni chiedono che sia sfruttato al meglio, con l’ausilio del confronto e della discussione che sono mancati nella fase di urgenza in cui inopportunamente è stata introdotta la disciplina delle società per i professionisti. Non era quella la sede per l’introduzione di una normativa così innovativa e di così grande impatto, tanto meno doveva avvenire senza il confronto con coloro che ne sono l’unico destinatario ovvero le Professioni.
Del resto, fin quando non sarà emanato il decreto di cui sopra, nessuna società potrà essere iscritta in alcun albo professionale per difetto di regolamentazione che renderebbe impossibile l’esercizio della funzione di vigilanza che è priorità degli Ordini a tutela della pubblica fede di cui sono garanti.