L’Agenzia delle entrate aveva rifiutato, con il c.d. silenzio-diniego, l’istanza di rimborso presentata da un commercialista, concernente alcune somme versate all’Erario ai fini dell’IRAP.
La Commissione regionale, organo di secondo grado nel processo tributario, aveva riformato quanto disposto dai giudici di primo grado, accogliendo quanto richiesto dal professionista, annullando, così, l’atto impositivo, in quanto non si ravvisava l’esistenza di una struttura autonomamente organizzata a corredo dell'attività professionale svolta.
Dalla motivazione della sentenza si evince che l’attività del commercialista era principalmente di sindaco in collegi sindacali e che solamente grazie alle proprie capacità e alla presenza nel collegio egli conseguiva il procacciamento della clientela e il conseguente reddito imponibile.
L’ambito del lavoro svolto dal commercialista, osservavano i giudici di secondo grado, “non può certo essere ampliato dalla presenza di un collaboratore con meri compiti esecutivi inerenti la fissazione di appuntamenti, l'accoglimento di clienti o il rispondere alle telefonate, il quale costituisce solo un mero ausilio all'attività professionale del commercialista, alla stregua del computer o dell'automezzo".
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, l’Agenzia delle entrate propose ricorso per cassazione adducendo due motivi: la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., e il vizio di motivazione della sentenza.
la Suprema corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza della CTR in quanto non risulta debitamente motivata: è noto che l’onere della prova spetta a chi richiede rimborso dell’imposta, dunque spettava al contribuente dimostrare l’inesistenza del requisito dell’autonoma organizzazione.
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