Un imprenditore fu condannato dal tribunale competente alla pena detentiva di un anno, perché dichiarato colpevole, ai sensi del D.lgs. n. 74 del 2000, art. 2, commi 1 e 2 , del reato di “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”.
Il G.U.P. aveva rilevato infatti che, dall’accertamento fiscale effettuato dalla Guardia di finanza, erano state rinvenute tre note di credito, relative allo storno di altrettante fatture con la motivazione di mancata fornitura della merce. Le note di credito evidenziavano, di fatto, l’emissioni di fatture riferite ad operazioni inesistenti.
Il controllo del fisco si estese quindi nei confronti della società S. , destinataria dei documenti contabili. I militari scoprirono una situazione di incongruità tra le documentazioni contabili delle due società e la realtà dei fatti.
Tra le motivazioni del ricorso il contribuente aveva segnalato la domanda di condono tributario previsto dall’art. 9, della legge n. 289 del 2002 effettuata dall’azienda ma il G.U.P. aveva escluso l’estinzione del reato in quanto l’Agenzia delle Entrate aveva testimoniato nel processo che “la società si era avvalsa di una forma di condono che prevedeva la definizione agevolata solo a condizione che l'impresa avesse realizzato ricavi congrui rispetto agli studi di settore o ai parametri stabiliti dalla legge. I parametri sopra riportati non furono rispettati dall’azienda che in questo modo non conseguì la non punibilità; di conseguenza la motivazione fu rigettata perché ritenuto infondata.
Il contribuente ricorse per Cassazione ma la Corte con sentenza n. 30250 del 29 luglio 2011, ha confermato la condanna.
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