IL CASO
La vicenda trova inizio nella notifica al contribuente di un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia dell’Entrate che riteneva indeducibili dal reddito d’impresa, relativamente all’anno 1992, costi inerenti fatture per operazioni inesistenti.
Il contribuente presentava regolare ricorso alla Commissione Tributaria provinciale che, lo accoglieva parzialmente. Contro la decisione della Ctp, l’Agenzia dell’Entrate proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Regionale che rigettava l’appello confermando la decisione di primo grado.
Avverso la sentenza di appello della Ctr, ricorrono in Cassazione il Ministero della Economia e Finanze e l'Agenzia delle Entrate, con un unico motivo ovvero vizio di violazione dell'39 Dpr n. 600/73. L’Agenzia sosteneva che, a seguito dell’ispezione fiscale, le operazioni in oggetto di giudizio erano risultate inesistenti, e il contribuente aveva indicato gli stessi costi in deduzione per l'anno 1992 ma non aveva fornito prova alcuna per la verifica dell’effettività dei costi sostenuti.
Secondo la Corte di Cassazione i giudici di primo grado hanno ben considerato l’esistenza dei costi indebitamente dedotti in dichiarazione poiché legati ad operazioni inesistenti, ma l’argomentazione che all’indicazione di costi fittizi, derivanti da operazioni inesistenti, corrisponde sempre e comunque anche la indicazione di ricavi fittizi, è illogica; l’illogicità consiste nel ritenere che per l’inattendibilità riferita al solo dato contabile dei costi si possa estendere la rettifica a tutte le altre voci contabili anche ai ricavi.
La Corte di Cassazione per questo motivo ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza per vizio di motivazione e ha rinviato ad altra sezione della CTR anche per la quantificazione delle spese processuali.
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Deduzione indebita per operazioni inesistenti - Sent. Cass. 8211/2011