Il caso parte dalla imputazione per il reato di cui all'art. 8, co. 1, D.Lvo 74/2000 di un imprenditore responsabile , in veste di presidente del consiglio di amministrazione ed amministratore unico di una s.r.I. con attività di fabbricazione di elaboratori, dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti nei confronti di diverse società a lui stesso ricollegabili al fine di creare un credito di imposta sui redditi e sul valore aggiunto.
Il Tribunale di Cassino, sezione distaccata di Sora, dichiarava il soggetto colpevole e lo condannava alla pena di anni 1 di reclusione, concedendo i benefici di legge, compresa la applicazione della L. 241/06.
Il soggetto proponeva appello e la Corte di Appello di Roma, con sentenza del 22/4/09, confermava quanto deciso dal Tribunale.
A seguito del successivo, ulteriore ricorso per cassazione la Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità penale dell’imprenditore sottolineando che né la mancata evasione né il successivo ravvedimento operoso sono rilevanti dato che per tale reato , che si configura come delitto di pericolo astratto è sufficiente il compimento dell'atto tipico. Inoltre la sostanziale riconducibilità delle aziende terze allo stesso soggetto aggiungeva rilevanza all’elemento soggettivo del reato stesso.
La Suprema Corte ha dichiarato quindi inammissibile il ricorso e riprendendo anche una precedente sentenza nr. 3052 del 21 gennaio 2008 che esclude la non punibilità, ha confermato la condanna di primo e secondo grado alla pena stabilita in 1 anno di reclusione seppur con la concessione dei benefici di legge ed al pagamento delle spese processuali.
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