La vicenda trae origine dalla ricezione da parte di una S.p.A., di un avviso di accertamento con rettifica della dichiarazione dei redditi prodotti dalla società nell’annualità 2002 e con maggiorazione dell’IRPEG per ritenuta indeducibilità del costo di beni importati da paesi “a fiscalità privilegiata” (oggi denominati anche “black list”). Tali costi non erano stati dichiarati separatamente, secondo la normativa vigente all’epoca.
La società ricorre alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino che annulla l’avviso di accertamento notificato.
Avverso tale sentenza, l’Ufficio dell’Agenzia dell’Entrate di Ivrea ricorre alla Commissione Tributaria Regionale che rigetta l’appello, confermando l’annullamento dell’avviso di accertamento.
L’Agenzia delle Entrate ricorre, con tre motivi, in Cassazione e la società importatrice resiste mediante controricorso e presenta ricorso incidentale, cui replica in controricorso l’Agenzia delle Entrate.
La Corte cassa la sentenza della CTR con rinvio ad altra sezione.
Nelle motivazioni osserva l’ insufficiente motivazione della sentenza della CTR (che annullava l’avviso di accertamento) nella parte in cui sono indicati come motivi del raggiungimento della decisione semplici asserzioni non confortate dall’analisi di prove presentate dalla società contribuente. In tal modo indirettamente stabilisce che compete al contribuente l'onere di provare che:
• il soggetto non residente svolge prevalentemente una attività economica effettiva;
• le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione (art. 76, comma 7 bis, del TUIR).
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