La riforma del processo civile (Legge n. 69 del 18 giugno 2009, in S.O. n. 95/L alla G.U. del 19 giugno 2009 n. 140), entrata in vigore sabato 04 luglio 2009, ha modificato molti termini processuali e ciò ha avuto conseguenze anche nel processo tributario.
Oltre ai termini, di cui si tratterà oltre, tra le principali novità che interesseranno il processo tributario, schematicamente, segnalo:
Per comprendere meglio e stabilire i nuovi termini nel processo tributario, secondo me, è necessario preliminarmente evidenziare la seguente tripartizione, conseguenza di determinati presupposti giuridici e processuali.
Infatti, nel processo tributario, è necessario distinguere:
In Allegato :
QUADRO SINOTTICO - PROCESSO TRIBUTARIO
NUOVI TERMINI PROCESSUALI DOPO LA RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE
(LEGGE N. 69 DEL 18 GIUGNO 2009, PUBBLICATA IN G.U. N. 140 S.O. N. 95/L DEL 19 GIUGNO 2009, ENTRATA IN VIGORE SABATO 04 LUGLIO 2009)
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I termini rimasti invariati perché esclusivamente previsti nel processo tributario, alcuni senza alcun collegamento, neppure indiretto, con i termini del processo civile, sono i seguenti:
1) il termine breve di 60 giorni previsto dall’art. 51, comma 1, D.Lgs. n. 546 cit.;
2) il termine di 60 giorni previsto per la particolare procedura tributaria di cui all’art. 54, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit.; infatti, nello stesso atto di appello depositato, può essere proposto, a pena di inammissibilità, appello incidentale;
3) il termine breve per il ricorso per Cassazione di 60 giorni decorrente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, come previsto dall’art. 62, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit. e dall’art. 325, comma 2 c.p.c., rimasto invariato;
4) il termine di 60 giorni per proporre la revocazione per i particolari e specifici motivi di cui ai numeri 1,2,3 e 6 dell’art. 395 c.p.c., come previsto dall’art. 51, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit..
Nei suddetti casi, il termine di 60 giorni decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o sono state dichiarate false le prove o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo del giudice.
Se i fatti sopra menzionati avvengono durante il termine per l’appello il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i 60 giorni da esso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 64, comma 3, D.Lgs. n. 546 cit..
1) L’art. 43, comma 1 e 2, D.Lgs. n. 546 cit., in tema di ripresa del processo sospeso o interrotto, prevedeva il termine di 6 mesi che era uguale al termine di sei mesi previsto dagli artt. 297, comma 1, e 305 c.p.c., prima delle modifiche introdotte dalla Legge n. 69/2009, tenendo altresì conto di quanto disposto dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 139 del 15 dicembre 1967 e n. 159 del 06 luglio 1971.
Di conseguenza, secondo me, il Legislatore tributario fin dall’inizio ha voluto fare riferimento agli stessi termini del processo civile e non poteva certo comportarsi diversamente trattandosi dei medesimi istituti giuridici; quindi, non è stata assolutamente una scelta legislativa autonoma da parte del Legislatore tributario.
Con la recente riforma i termini di cui ai citati artt. 297, comma 1, e 305 c.p.c. sono stati ridotti a 3 mesi; non vedo il motivo di lasciare nel processo tributario termini più lunghi, soprattutto in presenza dei medesimi istituti giuridici processuali in questione, che non possono certo definirsi incompatibili con il processo tributario, alla luce dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit..
Infatti:
a) i casi di interruzione del processo tributario (art. 40 D.Lgs. n. 546 cit.) sono praticamente uguali a quelli previsti e disciplinati dagli artt. 299-300 e 301 c.p.c., salvo che il fatto riguardi l’ufficio tributario (logicamente non poteva essere diversamente, in quando si è in presenza di un ufficio pubblico e non di una persona);
b) i casi di sospensione del processo tributario non sono soltanto quelli previsti dall’art. 39 D.Lgs. n. 546 cit. ma c’è da aggiungere anche il caso di cui all’art. 295 c.p.c. della sospensione necessaria: “Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa” (per esempio, artt. 34, 313 e 337, comma 2, c.p.c.).
Il suddetto art. 295 c.p.c., come sostituito dall’art. 35 della Legge n. 353 del 26 novembre 1990, quindi prima del D.Lgs. n. 546/1992, è applicabile anche al processo tributario, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione (da ultimo, Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 14814 del 04 giugno 2008).
Infatti, secondo i giudici di legittimità, nel processo tributario, l’art. 39 cit. può limitare i rapporti esterni, ovverosia i rapporti tra processo tributario e processi non tributari, ma non anche i rapporti interni fra i processi tributari, per i quali valgono le disposizioni del codice di procedura civile, tra cui il disposto dell’art. 295 c.p.c..
Così, per esempio:
- ne consegue che va cassata la decisione resa dal giudice tributario che non abbia sospeso il processo, pronunciando nel merito sull’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’ICI relativo ad un immobile in ordine al quale l’UTE (oggi Agenzia del Territorio) aveva notificato l’attribuzione della rendita, autonomamente impugnata in altro giudizio, pregiudiziale, non ancora definito (Cassazione, sentenze nn. 13082/2006, 9203/2007);
- analogamente, è stata cassata la sentenza pronunziata in base all’esito non definitivo della causa pregiudiziale concernente il rifiuto di riconoscimento del diritto alle agevolazioni per il Mezzogiorno, portata alla cognizione di altro giudice tributario (Cassazione, sentenze nn. 9999/2006, 24408/2005);
- così pure è stato ritenuto che la pendenza di una controversia sul reddito di una società di persone soggetta ad ILOR, cui abbia partecipato il singolo socio dell’ente, comporta l’obbligo di sospendere, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., la separata causa eventualmente promossa dal socio stesso ai fini IRPEF, per il reddito di partecipazione (Cassazione, sentenza n. 5366/2006); in quest’ultimo caso, il contrasto giurisprudenziale è stato risolto dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con le sentenze nn. 14815/2008 e 14816/2008, nel senso che non si tratta di una semplice questione di pregiudizialità, riferibile al fenomeno della mera connessione oggettiva, ma di giudizio necessariamente unico (per la unicità dell’accertamento e per la sussistenza del vincolo del litisconsorzio necessario) all’interno del quale la questione della ricostruzione del reddito societario riveste il carattere di questione preliminare di merito, non suscettibile di acquisire la forza del giudicato, se non nei confronti dei soggetti che abbiano partecipato al processo nel quale si è formato il giudicato stesso.
In definitiva,quando viene riconosciuto il vincolo della consequenzialità necessaria, il procedimento dipendente, se non è stato riunito (o non è stato possibile riunirlo) al principale, deve essere sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c. in attesa dell’esito di quest’ultimo (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 14814/2008).
Infine, non si può escludere che il giudice tributario, anche per i rapporti esterni tra processo tributario ed altri processi (civile o amministrativo), ritenga necessario ed indispensabile attendere l’esito finale degli altri giudizi; infatti, la succitata giurisprudenza della Corte di Cassazione mentre obbliga il giudice tributario all’applicazione dell’art. 295 c.p.c. nei rapporti interni tra i processi tributari, non fa assoluto divieto (o peggio ancora impedisce) al giudice tributario di applicare l’art. 295 c.p.c. anche nei rapporti esterni tra processi.
Oltretutto, l’art. 2, comma 3, D. Lgs. n. 546 cit. non esclude che il giudice tributario rinvii la causa perché non se la sente di risolvere, in via incidentale, questioni civili o amministrative alquanto delicate e complesse.
In definitiva, secondo me, alla luce di tutte le considerazioni giuridiche e giurisprudenziali di cui sopra, non vedo il motivo perché:
- nel processo civile, la fissazione della nuova udienza dopo la sospensione dell’art. 295 c.p.c. deve avvenire entro il termine perentorio di 3 mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa (art. 297, comma 1, c.p.c. riformato);
- mentre nel processo tributario ci dovrebbe essere il termine di 6 mesi, quando sia nel rapporto interno (tra processi tributari) sia, eventualmente, tra rapporti esterni (tra processo tributario e processi civili ed amministrativi) sostanzialmente la situazione processuale non cambia, sempre in funzione dell’art. 295 c.p.c..
Inoltre, sia il processo tributario (art. 39 D.Lgs. n. 546 cit.) sia il processo civile (art. 313 c.p.c.) devono essere sospesi quando è presentata una querela di falso, per cui non è logico, anche per una questione di coerenza processuale, che per una stessa fattispecie i termini di riassunzione siano diversi, in mancanza di una specifica giustificazione ed incompatibilità.
Secondo me, ripeto, il legislatore tributario, prima della riforma del codice di procedura civile, ha voluto prevedere lo stesso termine di 6 mesi, trattandosi dei medesimi istituti giuridici, per cui ritengo che la riduzione a 3 mesi debba essere applicata al processo tributario; questo anche per una questione di prudenza professionale, in attesa di un chiaro intervento risolutivo da parte del Legislatore, con interpretazione autentica, o della Corte di Cassazione.
2) Stesso discorso può farsi anche per l’art. 63, comma 1, D.Lgs. n. 546 cit., dove peraltro all’art. 62, comma 2, D.Lgs. cit. è previsto che “Al ricorso per Cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”.
Infatti, come nel caso di cui al precedente n. 1, anche nel succitato art. 63, comma 1, il Legislatore tributario ha voluto fare riferimento espresso allo stesso termine annuale previsto dall’art. 392, comma 1, c.p.c., prima delle modifiche.
Infatti, non vedo alcuna giustificazione giuridica e processuale di prevedere due termini diversi (1 anno e 46 giorni per il processo tributario e 3 mesi per il processo civile) per lo stesso istituto giuridico della riassunzione.
Sarebbe assurdo se per una sentenza civile il termine è di 3 mesi (art. 392, comma 1, c.p.c. riformato) mentre se trattasi di una sentenza tributaria (peraltro emessa dalla Corte di Cassazione – Sezione tributaria civile) il termine dovrebbe essere 1 anno e 46 giorni, con la possibilità di un secondo riconteggio (vedi lett. A n. 1 del presente articolo).
Secondo me, anche in questo caso, non vedo alcuna logica incompatibilità con il processo civile, tanto è vero che, ripeto, prima delle recenti modifiche, i termini erano uguali.
Infine, in allegato al presente articolo, presento un quadro sinottico dei nuovi termini processuali, nel processo tributario, dopo la recente riforma del processo civile.