In questo periodo, sta facendo discutere, anche a livello giurisprudenziale, un’interessante pronuncia della Corte Costituzionale in tema di cartelle esattoriali prive dell’indicazione del responsabile del procedimento.
Infatti, l’art. 7, comma 2, lett. a), della Legge n. 212, del 27 luglio 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) testualmente dispone:
“Gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare:
a) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento”.
Per un'approfondita analisi del tema scarica anche il Documento gratuito Cartelle mute in attesa della pronuncia della Corte costituzionale dell'Avv. Maurizio Villani.
L'articolo continua dopo la pubblicità
La pronuncia della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, con l’importante ordinanza n. 377 del 09/11/2007, ha stabilito:
- “che l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 si applica ai procedimenti tributari (oltre che dell’amministrazione finanziaria) dei concessionari della riscossione, in quanto soggetti privati cui compete l’esercizio di funzioni pubbliche, e che tali procedimenti comprendono sia quelli che il giudice a quo definisce come “procedimenti di massa” (che culminano, cioè, in provvedimenti di contenuto omogeneo o standardizzato nei confronti di innumerevoli destinatari), sia quelli di natura non discrezionali;
- che l’obbligo imposto ai concessionari di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento, lungi dall’essere un inutile adempimento, ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’art. 97, primo comma, Cost. (si veda, ora, l’art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990, come modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”);
- che, del resto, fin da epoca precedente l’entrata in vigore della legge n. 212 del 2000, recante lo Statuto dei diritti del contribuente, la Corte ha ritenuto l’applicabilità ai procedimenti tributari della legge generale sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 (ordinanza n. 117 del 2000, relativa all’obbligo di motivazione della cartella di pagamento)”.
Di conseguenza, alla luce dei corretti principi sopraesposti, la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, lettera a), della legge n. 212/2000, sollevata dalla Commissione Tributaria regionale di Venezia, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 97 della Costituzione.
Infatti, i giudici veneti avevano rimesso gli atti alla Corte Costituzionale perché ritenevano “eccessivo e poco utile addossare ai concessionari obblighi che appaiono fini a se stessi, anche considerato che sulle cartelle figura l’avvertenza che si possono chiedere informazioni sul contenuto della cartella stessa; ragione per cui l’art. 7, comma 2, lettera a), ultima parte, contrasta, per un verso, con l’art. 3, primo comma, Cost., poiché tratta in maniera simile attività e situazioni sicuramente diverse, quali sono quelle ascrivibili all’amministrazione finanziaria e quelle, invece, di competenza del concessionario e, per altro verso, con l’art. 97 Cost. e con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione ivi stabilito, nonché con l’art. 1 della legge n. 241 del 1990, che ne costituisce sviluppo, laddove sancisce che l’attività della pubblica amministrazione è ispirata ai principi di efficienza, economicità ed efficacia”.
La Corte Costituzionale è stata, invece, di diverso avviso, consacrando i principi dello Statuto del contribuente sopra esposti.
Oltretutto, elemento spesso ignorato, la stessa Avvocatura Generale dello Stato, che si era costituita per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, aveva, molto opportunamente, fatto presente che “l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma raggiungerebbe l’effetto contrario a quello indicato dal giudice de quo (l’accoglimento dell’appello), giacchè, facendo venir meno l’obbligo di indicare il responsabile del procedimento, comporterebbe che la mancanza o l’insufficienza di tale indicazione non sarebbe più oggetto di “un dovere sanzionabile con la declaratoria di illegittimità della cartella di pagamento”.
Quindi, anche per ribadire quanto si dirà in seguito, in questo importante giudizio costituzionale, è lo stesso Stato, tramite la Presidenza del Consiglio dei Ministri, a ribadire la tesi che la mancata indicazione del responsabile del procedimento determina l’illegittimità della cartella di pagamento, tanto è vero che lo stesso art. 7 cit. usa l’avverbio “tassativamente” e la Corte Costituzionale non la definisce “un inutile adempimento”.
Valenza dello Statuto del contribuente
L’ordinanza citata è stata una delle prime decisioni della Corte Costituzionale in tema di Statuto dei diritti del contribuente e non ha smentito, anzi ha confermato, nei limiti della questione sollevata, la linea interpretativa più volte indicata dalla Corte di Cassazione, nel senso di un’alta valorizzazione dei principi in esso contenuti.
Infatti, la Corte di Cassazione, con la prima, importante, sentenza n. 17576 del 10/12/2002 della Sezione Tributaria, in tema di Statuto dei diritti del contribuente, aveva stabilito che:
- “alle specifiche clausole rafforzative” di autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come “principi generali dell’ordinamento tributario” deve essere attribuito un preciso valore normativo”;
- “è costituito, quantomeno, dalla superiorità assiologica” dei principi espressi o desumibili dalle disposizioni dello Statuto e, quindi, dalla loro funzione di orientamento ermeneutico, vincolante per l’interprete; in altri termini, il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla Legge 212 del 2000 deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi statutari”. Principi, peraltro, confermati nella successiva sentenza n. 7080 del 14/04/2004, sempre della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – secondo cui:
- “ogni qual volta una normativa fiscale sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività ed una che l’escluda, l’interprete dovrà dare preferenza a questa seconda interpretazione come conforme a criteri generali introdotti con lo Statuto del contribuente, e attraverso di esso ai valori costituzionali intesi in senso ampio ed interpretati direttamente dello stesso legislatore attraverso lo Statuto”;
- “ del resto il principio della tutela della ragionevolezza e dell’affidamento, posto legittimamente sulla certezza dell’ordinamento giuridico, ha trovato già riconoscimento non solo nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ., 23 maggio 2003, n. 8146), ma anche in quella della Corte Costituzionale (sentenze n. 211/97, 416/99, 525/2000) ed in quelle della Corte di Giustizia CEE (24 settembre 2002, C. 255/2000, Gr. It. S.p.A. C. Ministero delle Finanze) e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (30 maggio 2000, Ca. e Ve. C. Italia)”.
Questi corretti principi della Corte di Cassazione, peraltro valorizzati con l’ordinanza in questione della Corte Costituzionale, devono sempre rappresentare il faro interpretativo di tutte le leggi tributarie,per cui se, come nel caso di specie, lo Statuto richiede tassativamente un requisito è chiaro che la mancanza di tale requisito determina necessariamente la nullità dell’atto o della cartella esattoriale, in quanto irregolarità sostanziale e non puramente formale.
Polemica sulla necessità di indicare la nullità della cartella esattoriale
Una volta pubblicata l’ordinanza della Corte Costituzionale, alcuni interpreti si sono posti il problema se le c.d. “cartelle mute”, cioè prive dell’indicazione del responsabile del procedimento, debbano necessariamente considerarsi nulle pur in assenza di una specifica previsione legislativa.
Il problema, invece, secondo me, non si pone assolutamente perché la legge stessa prevede l’illegittimità delle c.d. cartelle mute, tanto è vero che la stessa Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel richiedere, come sopraesposto, l’inammissibilità della questione di incostituzionalità, ha precisato che il far venire meno l’obbligo di indicare il responsabile del procedimento comporterebbe che la mancanza o l’insufficienza di tale indicazione non sarebbe più oggetto di “un dovere sanzionabile con la declaratoria di illegittimità” della cartella di pagamento, avallando, in tal modo, quasi un’interpretazione autentica della normativa stessa.
Ed è logico che la c.d. cartella muta è nulla perché, altrimenti, l’art. 7 cit. non avrebbe usato l’avverbio “tassativamente” (cioè, perentorio, indispensabile) né la Corte Costituzionale avrebbe scritto che l’indicazione del responsabile non è un inutile adempimento.
Infatti, la suddetta informazione è necessaria:
- per assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, in quanto, soprattutto in un complesso sistema tributario come il nostro, non si possono emettere e notificare atti o cartelle esattoriali “anonimi”, stampati in modo meccanico dai computers, con il rischio delle c.d. “cartelle pazze”;
- per la prima informazione del cittadino-contribuente, anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile, soprattutto oggi che sono state potenziate al massimo le procedure di riscossione e di esecuzione, con l’utilizzo, alcune volte inopportuno, di ipoteche e fermi amministrativi;
- infine, per la garanzia del diritto di difesa, perché deve consentire al cittadino-contribuente di conoscere “a priori” il responsabile del procedimento cui chiedere specifiche motivazioni, soprattutto nel calcolo delle indennità di mora e degli interessi.
Infine, occorre rammentare che il termine “nullità” non deve necessariamente comparire nel lessico normativo, potendo lo stesso desumersi per tabulas, tenuto conto dello scopo che persegue e la funzione che adempie (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio sotto il controllo del giudice), come più volte affermato dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 2787/2006, n. 138/04 e n. 1771/04.
La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – con le suddette sentenze, ha decretato, per esempio, la natura perentoria di un termine, ancorché in assenza di espressa previsione legislativa.
Infatti, sebbene l’art. 152 c.p.c. disponga che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, salvo che questa li dichiari espressamente perentori, non si può da tale norma dedurre che, ove manchi una esplicita dichiarazione in tal senso, debba senz’altro escludersi la prerentorietà del termine “perché nulla vieta di indagare se, a prescindere dal dettato della norma, un termine, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, debba essere rigorosamente osservato” (Cass., sent. n. 1771/2004).
Infine, con l’ordinanza più volte citata, la stessa Corte Costituzionale ha precisato che “fin da epoca precedente l’entrata in vigore della legge n. 212 del 2000, recante lo Statuto dei diritti del contribuente, la Corte ha ritenuto l’applicabilità ai procedimenti tributari della legge generale sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 (ordinanza n. 117 del 2000, relativa all’obbligo di motivazione della cartella di pagamento)”.
Di conseguenza, in base all’art. 21 septies, comma 1, della Legge n. 241 del 07 agosto 1990, come modificato dalla Legge n. 15 dell’11 febbraio 2005, “E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge” (per una corretta interpretazione della citata norma si rinvia alla sentenza n. 18408 del 16/09/2005 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria).
E nel caso delle cartelle mute manca un elemento essenziale, quale l’indicazione del responsabile del procedimento, tassativamente previsto dallo Statuto dei diritti del contribuente, per tutte le finalità, istituzionali e giuridiche, opportunamente evidenziate dalla Corte Costituzionale, come sopra esposto
Le tesi difensive di EQUITALIA S.P.A.
Dopo la pubblicazione dell’ordinanza della Corte Costituzionale, EQUITALIA SPA si è preoccupata delle conseguenze dirompenti che tale ordinanza poteva avere, tenuto altresì conto che la società è sottoposta al controllo della Corte dei Conti (Sole 24 ore di sabato 09 febbraio 2008), e a tal proposito ha adottato le seguenti iniziative:
a) amministrative, con la direttiva del 22/11/2007, dando precise ed immediate disposizioni a tutti gli agenti della riscossione di inserire nelle nuove cartelle esattoriali il nome del responsabile del procedimento (cosa che sta avvenendo, perché le nuove cartelle esattoriali recano il nome e cognome del responsabile del procedimento);
b) giudiziarie, con la direttiva n. 228/2008, invitando tutti gli agenti della riscossione a resistere in sede processuale, contestando la mancata indicazione della tassativa conseguenza della nullità e, in ogni caso, chiedendo l’applicazione dell’art. 21 octies, comma 2, della Legge n. 241/1990 cit..
In merito all’illegittimità, e quindi nullità, della cartella muta si rinvia a quanto scritto al n. 3; invece, per quanto riguarda l’applicazione del succitato articolo, occorre precisare quanto segue.
Innanzitutto, EQUITALIA SPA ignora il disposto del comma 1 del succitato articolo, che tassativamente dispone:
“E’ annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza” e, nella fattispecie, la cartella muta è senz’altro annullabile perché ha violato l’art. 7 cit. dello Statuto del contribuente, come opportunamente rilevato dalla Corte Costituzionale.
In ogni caso, l’art. 21 octies, comma 2, cit. testualmente dispone:
“Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Nel caso in questione, la suddetta norma, contrariamente all’assunto di EQUITALIA SPA, non è applicabile per il semplice motivo che la procedura di emissione e notifica della cartella esattoriale non è vincolata, in quanto l’agente della riscossione deve aggiungere ai ruoli consegnati dagli uffici fiscali altre voci, in particolare riguardanti i suoi compensi e gli interessi, sulle cui voci il cittadino-contribuente ha il diritto di conoscere come è stato determinato l’esatto importo nei limiti previsti dalla legge sulla riscossione.
Di conseguenza, la mancata indicazione tassativa del responsabile del procedimento determina, in concreto, una limitazione al diritto di difesa, perché il contribuente non è posto nelle condizioni di conoscere il nominativo cui rivolgersi.
Inoltre, non bisogna dimenticare che oggi EQUITALIA SPA è partecipata al 51% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che a sua volta dipende dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri; di conseguenza, appare inopportuna l’insistenza di EQUITALIA SPA a non voler riconoscere l’importanza giuridica della più volte citata ordinanza della Corte Costituzionale, quando la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri, tramite l’Avvocatura Generale dello Stato, ha chiarito che la mancata indicazione del responsabile del procedimento rende totalmente illegittima la cartella esattoriale.
Conclusioni
In definitiva, è da apprezzare l’interpretazione data al problema dai giudici di merito di Lecce, Bari e Piacenza, che hanno correttamente applicato i principi esposti dalla Corte Costituzionale.
Da ultimo, occorre contestare un eventuale intervento legislativo destinato a salvare per il passato le cartelle esattoriali mute, perché tale intervento “a gamba tesa” è incostituzionale per evidente irragionevolezza, come opportunamente rilevato dal Prof. Enrico De Mita, nell’articolo apparso in Il Sole 24-Ore del 27/01/2008.
Lecce, 16 febbraio 2008
AVV. MAURIZIO VILLANI
Avvocato Tributarista in Lecce
Patrocinante in Cassazione