Luca Mancinotti
Utente
Negli ultimi anni il fenomeno dei negozi “Compro Oro” ha assunto proporzioni enormi, consentendo a questa idea commerciale di raggiungere ogni angolo del nostro Paese. Molte persone si sono lanciate in questa attività con improvvisazione e, troppo spesso, in spregio della Legge arrecando sia un danno all’erario, sia a chi opera in modo coerente con le stesse. Un mondo labirintico in cui il “metodo operativo” è un concetto astratto e dove la legalità non conosce patria. Adesso cerchiamo di capire, con qualche riga, alcuni semplici concetti che potranno meglio farci intendere ciò che l’onesto “commerciante di gioielli usati” dovrebbe compiere per poter operare lecitamente.
Il commercio di oro è regolamentato da un apposita normativa intitolata"Nuova disciplina del mercato dell'oro, anche in attuazione della direttiva 98/80/CE del Consiglio, del 12 ottobre 1998" emanata con Legge 17 Gennaio 2000, n. 7 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 16 del 21 gennaio 2000, la quale stabilisce cosa debba intendersi per oro e quali sono i requisiti richiesti per effettuare tale commercio in via professionale.
L’articolo 1 recita:
"1. Ai fini della presente legge con il termine "oro" si intende:
a) l'oro da investimento, intendendo per tale l'oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell'oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; le monete d'oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell'80 per cento il valore sul mercato libero dell'oro in esse contenuto, incluse nell'elenco predisposto dalla Commissione delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C, nonchè le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese nel suddetto elenco; con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabilite le modalità di trasmissione alla Commissione delle Comunità europee delle informazioni in merito alle monete negoziate nello Stato italiano che soddisfano i suddetti criteri;
b) il materiale d'oro diverso da quello di cui alla lettera a), ad uso prevalentemente industriale, sia in forma di semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, sia in qualunque altra forma e purezza."
Sempre l’articolo 1 indica quali sono i requisiti necessari per poter effettuare il commercio di oro ovvero:
"3. L'esercizio in via professionale del commercio di oro, per conto proprio o per conto di terzi, può essere svolto da banche e, previa comunicazione all'Ufficio italiano dei cambi, da soggetti in possesso dei seguenti requisiti:
a) forma giuridica di società per azioni, o di società in accomandita per azioni, o di società a responsabilità limitata, o di società cooperativa, aventi in ogni caso capitale sociale interamente versato non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni;"
Il legislatore con questi articoli ha voluto non concedere dubbi sia su come identificare la natura dei beni che possono essere qualificati come oro, sia le caratteristiche che un azienda deve assumere per poter esercitare lecitamente tale commercio. Infatti stabilendo che le aziende siano configurate come “società per azioni, o società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperativa dotate di un capitale sociale interamente versato non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni” esclude de facto le ditte individuali.
Altra condizione necessaria per commerciare in oro è la comunicazione, ed il rilascio di relativa autorizzazione, da parte della Banca d’Italia (rammento che dal 1 gennaio 2008 l’Ufficio Italiano Cambi è soppresso e le sue funzioni sono esercitate dalla Banca d’Italia -D.lgs. 21/11/2007 n. 231-) Come visto la legge è molto chiara riguardo le caratteristiche necessarie per effettuare tale commercio e sui requisiti imprescindibili che vengono posti a condizione di chiunque compia questa scelta aziendale.
Negli ultimi anni si è assistito ad una affermazione massiccia su tutto il territorio nazionale di negozi comunemente denominati “compro oro”, specializzati nell’acquisto di preziosi da parte di privati cittadini. Nulla vieta, anche al titolare di una ditta individuale, di acquistare oreficeria per poi successivamente rivenderla, sia all’ingrosso che al minuto, fermo restando i “paletti” imposti appunto dalla Legge 7/2000. Purtroppo però, moltissimi gestori di questi negozi, assumono in toto le funzioni e le competenze commerciali proprie di un operatore professionale, pur non attendendo minimamente ai requisiti imposti dalla legge, operando quindi in modo del tutto abusivo.
Infatti l’abitudine invalsa, è quella di acquistare oggetti preziosi usati dai privati cittadini (o da altri compro oro) e rivenderli direttamente a fonderie o aziende specializzate nel recupero di metalli preziosi. Nulla potrebbe vietare questo comportamento se i beni ceduti fossero qualificati per quello che realmente sono, ovvero oreficeria usata, ma nella più ampia casistica vengono invece qualificati come rottami. Questo espediente, di mutare arbitrariamente la natura dei beni, consente di eludere l’I.V.A. beneficiando di quanto stabilito dalla Legge n. 633/77 articolo 17 comma 5 la quale contempla:
“In deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all'articolo 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d'oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell'imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d'imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d'imposta, con l'osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l'indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l'indicazione dell'aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all'articolo 25”
Con questo articolo di legge, viene quindi concessa la non imponibilità a quei beni che, a causa della loro natura, non possono avere altra destinazione che la lavorazione industriale. Di conseguenza le cessioni di semilavorati e rottami non sono imponibili IVA perché equiparati a quei beni inutilizzabili per scopi diversi dalla lavorazione industriale, quindi del tutto differenti dall’oreficeria usata che può invece avere infiniti cicli di vita e, conseguentemente, soggetta al pagamento dell’imposta.
Il gestore di un semplice “compro oro”, intenzionato ad operare secondo la legge, dovrebbe cedere i preziosi per quelli che realmente sono, ovvero beni usati, specificando nella fattura la reale natura degli oggetti ovvero oreficeria usata ed applicare quindi all’importo della fattura l’aliquota IVA ordinaria o, come concesso per i beni usati, a margine. Invece in molti casi l’operatore abusivo acquista i preziosi (non rottami) da privati cittadini e successivamente li rivende direttamente alle fonderie o altre aziende specializzate, attribuendo alla natura dei beni ceduti, sia sul Documento di Trasporto e poi sulla Fattura, la qualifica di rottami. Anche il più sprovveduto dei revisori, operando una controllo, potrà domandarsi che fine abbiano fatto i preziosi acquistati dall’esercente e registrati regolarmente sul Registro del Commercio (es: 1 bracciale, 1 collanina etc.) e dove invece ha preso i rottami che dichiara di aver ceduto alla fonderia.
Il commercio di oro è regolamentato da un apposita normativa intitolata"Nuova disciplina del mercato dell'oro, anche in attuazione della direttiva 98/80/CE del Consiglio, del 12 ottobre 1998" emanata con Legge 17 Gennaio 2000, n. 7 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 16 del 21 gennaio 2000, la quale stabilisce cosa debba intendersi per oro e quali sono i requisiti richiesti per effettuare tale commercio in via professionale.
L’articolo 1 recita:
"1. Ai fini della presente legge con il termine "oro" si intende:
a) l'oro da investimento, intendendo per tale l'oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell'oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; le monete d'oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell'80 per cento il valore sul mercato libero dell'oro in esse contenuto, incluse nell'elenco predisposto dalla Commissione delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C, nonchè le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese nel suddetto elenco; con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabilite le modalità di trasmissione alla Commissione delle Comunità europee delle informazioni in merito alle monete negoziate nello Stato italiano che soddisfano i suddetti criteri;
b) il materiale d'oro diverso da quello di cui alla lettera a), ad uso prevalentemente industriale, sia in forma di semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, sia in qualunque altra forma e purezza."
Sempre l’articolo 1 indica quali sono i requisiti necessari per poter effettuare il commercio di oro ovvero:
"3. L'esercizio in via professionale del commercio di oro, per conto proprio o per conto di terzi, può essere svolto da banche e, previa comunicazione all'Ufficio italiano dei cambi, da soggetti in possesso dei seguenti requisiti:
a) forma giuridica di società per azioni, o di società in accomandita per azioni, o di società a responsabilità limitata, o di società cooperativa, aventi in ogni caso capitale sociale interamente versato non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni;"
Il legislatore con questi articoli ha voluto non concedere dubbi sia su come identificare la natura dei beni che possono essere qualificati come oro, sia le caratteristiche che un azienda deve assumere per poter esercitare lecitamente tale commercio. Infatti stabilendo che le aziende siano configurate come “società per azioni, o società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperativa dotate di un capitale sociale interamente versato non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni” esclude de facto le ditte individuali.
Altra condizione necessaria per commerciare in oro è la comunicazione, ed il rilascio di relativa autorizzazione, da parte della Banca d’Italia (rammento che dal 1 gennaio 2008 l’Ufficio Italiano Cambi è soppresso e le sue funzioni sono esercitate dalla Banca d’Italia -D.lgs. 21/11/2007 n. 231-) Come visto la legge è molto chiara riguardo le caratteristiche necessarie per effettuare tale commercio e sui requisiti imprescindibili che vengono posti a condizione di chiunque compia questa scelta aziendale.
Negli ultimi anni si è assistito ad una affermazione massiccia su tutto il territorio nazionale di negozi comunemente denominati “compro oro”, specializzati nell’acquisto di preziosi da parte di privati cittadini. Nulla vieta, anche al titolare di una ditta individuale, di acquistare oreficeria per poi successivamente rivenderla, sia all’ingrosso che al minuto, fermo restando i “paletti” imposti appunto dalla Legge 7/2000. Purtroppo però, moltissimi gestori di questi negozi, assumono in toto le funzioni e le competenze commerciali proprie di un operatore professionale, pur non attendendo minimamente ai requisiti imposti dalla legge, operando quindi in modo del tutto abusivo.
Infatti l’abitudine invalsa, è quella di acquistare oggetti preziosi usati dai privati cittadini (o da altri compro oro) e rivenderli direttamente a fonderie o aziende specializzate nel recupero di metalli preziosi. Nulla potrebbe vietare questo comportamento se i beni ceduti fossero qualificati per quello che realmente sono, ovvero oreficeria usata, ma nella più ampia casistica vengono invece qualificati come rottami. Questo espediente, di mutare arbitrariamente la natura dei beni, consente di eludere l’I.V.A. beneficiando di quanto stabilito dalla Legge n. 633/77 articolo 17 comma 5 la quale contempla:
“In deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all'articolo 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d'oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell'imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d'imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d'imposta, con l'osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l'indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l'indicazione dell'aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all'articolo 25”
Con questo articolo di legge, viene quindi concessa la non imponibilità a quei beni che, a causa della loro natura, non possono avere altra destinazione che la lavorazione industriale. Di conseguenza le cessioni di semilavorati e rottami non sono imponibili IVA perché equiparati a quei beni inutilizzabili per scopi diversi dalla lavorazione industriale, quindi del tutto differenti dall’oreficeria usata che può invece avere infiniti cicli di vita e, conseguentemente, soggetta al pagamento dell’imposta.
Il gestore di un semplice “compro oro”, intenzionato ad operare secondo la legge, dovrebbe cedere i preziosi per quelli che realmente sono, ovvero beni usati, specificando nella fattura la reale natura degli oggetti ovvero oreficeria usata ed applicare quindi all’importo della fattura l’aliquota IVA ordinaria o, come concesso per i beni usati, a margine. Invece in molti casi l’operatore abusivo acquista i preziosi (non rottami) da privati cittadini e successivamente li rivende direttamente alle fonderie o altre aziende specializzate, attribuendo alla natura dei beni ceduti, sia sul Documento di Trasporto e poi sulla Fattura, la qualifica di rottami. Anche il più sprovveduto dei revisori, operando una controllo, potrà domandarsi che fine abbiano fatto i preziosi acquistati dall’esercente e registrati regolarmente sul Registro del Commercio (es: 1 bracciale, 1 collanina etc.) e dove invece ha preso i rottami che dichiara di aver ceduto alla fonderia.
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