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BANCAROTTA IMPROPRIA: LA BATTAGLIA DI RETROGUARDIA DEL GE DI TRIESTE

E

Enzo Bremini

Ospite
<HTML>BANCAROTTA IMPROPRIA: BATTAGLIA DI RETROGUARDIA DEL GIUDICE DELL’ESECUZIONE DI TRIESTE

Con la sentenza 34622/02 del 16 ottobre 2002, la Cassazione, sezione V penale, ha confermato, in materia di bancarotta impropria, l’orientamento già espresso nel giugno del 2002.

La decisione 34622/02 ha dissipato ogni dubbio (vedi R.Brichetti “Guida al Diritto” n.43/2002), affermando che la fattispecie inserita nell’art. 223, primo comma, n. 1, del RD 267/1942 dall’articolo 4 del DLGS 61/2002 comporta la totale abolizione della fattispecie abrogata perché la previsione dell’aggiunzione del rapporto di causalità tra i fatti costitutivi delle disposizioni penali societarie richiamate ed il dissesto è tale da conferire alla nuova fattispecie di bancarotta impropria un significato lesivo del tutto diverso da quello della fattispecie abrogata.

La previsione di un evento, il dissesto, in rapporto di causalità con la commissione dei fatti integranti reati societari, ha, già di per sé (anche prescindendo dal rilievo che sono altresì mutati tipologia, caratteristiche ed elementi costitutivi dei reati societari richiamati), mutato il volto della bancarotta impropria.

Il percorso logico-argomentativo seguito dalla Suprema Corte per pervenire a detta conclusione affronta il problema della distinzione tra l’abrogazione costituente abolitio criminis e l’abrogazione con mera successione di norme incriminatrici, reputando inidonei a risolverlo, tra i vari criteri proposti, quello, antico ma recentemente rispolverato, del cosiddetto fatto concreto e quello della cosiddetta continuità del fatto d’illecito e ritenendo invece necessario effettuare un confronto tra fattispecie astratte che utilizzi il criterio di specialità.

In questa direzione, si afferma che la nuova versione della bancarotta impropria è “speciale” rispetto alla precedente, non però nel senso che l’introdotto rapporto di causalità con il dissesto specifichi elementi della precedente disposizione, ma nel senso che esso rappresenta un elemento aggiuntivo rispetto alla medesima.

La nuova disposizione incriminatrice, in altre parole, non è “speciale”, rispetto alla precedente, per “specificazione” di elementi generali della stessa, ma lo è per “aggiunzione”; aggiunzione, tra l’altro, di un elemento costitutivo, l’evento di danno, che determina una modificazione della struttura della fattispecie.

Questa distinzione tra:
- specialità per specificazione, e
- specialità per aggiunzione
ai fini della soluzione del problema, secondo la Corte offre indicazioni più articolate di quelle abitualmente considerate in dottrina. In tal senso, si osserva, che nel caso di abrogazione di una norma con contestuale introduzione di una norma sostitutiva “speciale” per aggiunzione (che è poi, come si è detto, il caso in esame) non può che aversi totale abolitio quando l’elemento aggiuntivo abbia un peso tale da ascrivere alla nuova fattispecie un significato lesivo diverso da quello della fattispecie abrogata (è ora richiesta, come si è detto, l’effettiva lesione dell’interesse tutelato, non la semplice messa in pericolo).

Viene ribadita, dunque, pur se con argomentazioni apparentemente diverse, la linea già seguita dalla stessa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza 13 dicembre 2000-15 gennaio 2001, Sagone, in tema di omessa presentazione della dichiarazione in materia di imposte dirette o di IVA che, nell’occasione, ebbe ad affermare che la circostanza che il legislatore avesse previsto per il fatto-reato l’introduzione di elementi costitutivi nuovi e diversi comportava una frattura tra l’originaria figura di reato “scissa dall’intento di evasione” e la nuova figura di omessa dichiarazione “connessa al perseguimento dello scopo di evasione, attuata mediante il raggiungimento della soglia quantitativa di lire 150 milioni che sia stata oggetto di previa volizione”.

La Suprema Corte ha dunque decisamente affermato l’intervenuta abolitio criminis della precedente fattispecie incriminatrice della bancarotta impropria (e, quindi, la possibilità di applicare la nuova fattispecie ai soli fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore).

La Giurisprudenza di merito, quale quella espressa dal GIP di Trieste, non sembra però rassegnarsi all’osservanza del chiaro insegnamento della Suprema Corte, e continua a sostenere, senza nemmeno fornirne apprezzabile motivazione, la tesi della continuità normativa fra la vecchia e la nuova fattispecie di bancarotta impropria.

Con il logico risultato di costringere i ricorrenti ad adire ulteriormente alla Corte di Cassazione, che si considera evidentemente non abbastanza oberata di altre incombenze.

Il Presidente Aggiunto (GIP);
Sciogliendo la riserva che precede;
Visti gli atti e la memoria difensiva;
Ritenuto che i reati di cui ai capi nn.: 3), 5), 9), 11), 13), 15), 19), 20), 22) 24), 26), 31), 33), 35), 37) 40), 41), 44) e 53), nell’ambito della sentenza n. 410 del 15/12/1998, non possono essere considerati come fatti non più previsti dalla legge come reati, a seguito della entrata in vigore della legge n. 61/2002, poiché vi è sostanziale continuità tra la vecchia e la nuova disciplina, avendo il legislatore ridisegnato - nel più ampio contesto della bancarotta impropria - un’area di rilevanza penale più ristretta rispetto al passato, ma pur sempre strettamente collegata alla norma previgente, senza che questa possa considerarsi abrogata per l’intervento di una norma speciale;
Ritenuto, pertanto, che la richiesta del xxxxxxxxx, non può essere accolta
P.Q.M.
Visto l’art. 673 c.p.p.; nonché gli artt. 665 e segg. c.p.p.
RIGETTA
l’istanza.
Trieste, 28/11/02
Il Pres. Agg.
Sarpietro</HTML>
 
<HTML>Detto questo: sentenza già datata, qual'è il quesito</HTML>
 
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