Nell’ambito delle scelte imprenditoriali delle imprese maggiormente «strutturate», il c.d. «gruppo transnazionale» si presenta come funzionale a una realtà economica che «sovrasta» gli Stati nazionali, e particolarmente «versato» nello sfruttamento dei «differenziali fiscali» esistenti tra i diversi ordinamenti.
La pianificazione fiscale internazionale utilizza solitamente delle «holding companies», la cui attività – consistente nell’acquisizione e nella gestione di partecipazioni societarie – rappresenta lo strumento necessario a porre in essere gli «schemi» più vantaggiosi, i quali chiaramente – dal punto di vista delle Amministrazioni tributarie dei Paesi a fiscalità elevata – assumono chiari connotati elusivi.
In generale, poi, le operazioni intrattenute con soggetti esteri, al di là della sussistenza di rapporti partecipativi da parte di soggetti residenti, hanno assunto sempre maggior rilevanza sia per quanto attiene al mondo degli «scambi» economicamente fondati, sia nell’ambito degli «schemi elusivi», ciò che giustifica ampiamente l’attenzione del Fisco in materia.
A tale riguardo, occorre preliminarmente inquadrare per sommi capi le varie modalità di possibile «abuso» e la relativa reazione da parte dell’ordinamento giuridico, e quindi porre in risalto le possibili strategie ed esimenti che i contribuenti possono produrre per porsi al riparo dalle attività di accertamento.
In particolare, si tratterà di conoscere le norme sulle società controllate e collegate estere ubicate in Stati e territori «black list» (CFC), quelle di contrasto al c.d. «transfer price» e quelle in materia di «esterovestizione».