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Lo svolgimento in via di fatto, da parte di un pubblico dipendente, di mansioni superiori rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento è circostanza irrilevante ai fini economici, sia perché il provvedimento d'inquadramento è presupposto indefettibile delle mansioni e del correlativo trattamento economico, sia perché il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di lavoro privato, vista anche la natura indisponibile degli interessi coinvolti; nè può essere richiamato l'art. 36 Cost., il quale afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla quantità e qualità del lavoro prestato, atteso che tale norma non può trovare incondizionata applicazione del rapporto di pubblico impiego, dovendo concorrere in tale ambito con altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali l'art. 97, per il quale l'esercizio delle mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita contrasta con i principi di buon andamento e di imparzialità dei pubblici uffici e, quindi, con la rigida determinazione delle sfere di competenza, funzioni e responsabilità dei funzionari, e l'art. 98, dal quale discende il divieto che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla mera logica del rapporto di scambio.